Roma, 4 ago – Ogni cosa passa veloce nel frenetico scorrere del tempo moderno. Quante volte ci capita di camminare per le vie delle nostre città e non far caso a ciò che ci circonda. Dettagli, particolari, ma anche – talvolta – monumenti. A Cesena, ad esempio, in pieno centro c’è un busto, dimenticato un po’ da tutti, preda più che altro degli eventi atmosferici. Un viso giovane e poche parole: William D’Altri, medaglia d’oro, Lekemti, 26 giugno 1936.
William D’Altri, volontario in Africa Orientale
Nato sulle rive del Savio il 4 agosto 1913, William D’Altri – nemmeno ventenne – intraprende la carriera militare. Promosso aviere scelto, già nel 1934 chiede di prestare servizio come volontario in Africa Orientale. A scanso di equivoci, facciamo subito chiarezza. Se per quanto riguarda l’intera esperienza coloniale rimandiamo ogni approfondimento ai lavori dell’ottimo Alpozzi, ci limitiamo qui a precisare che la nostra presenza in quelle terre non può essere ricondotta solamente a iprite e – presunto – razzismo. Dall’abolizione della schiavitù alle modernizzazioni agricole, dalla creazione di infrastrutture agli interventi in campo sanitario, l’elenco delle azioni italiane, iniziate in piena epoca liberale, ha innegabilmente contribuito al progresso – rispetto alle terrificanti condizioni di partenza – di Libia, Etiopia, Eritrea e Somalia.
Divenuto primo aviere motorista, il cesenate partecipa nel febbraio ‘36 alla battaglia di Amba Aradam. Croce di guerra al valore militare non fu, ovviamente, la sua unica battaglia: “in cinquanta azioni compiute in poco più di due mesi per un complesso di 106 ore di volo, sebbene più volte colpito dalla reazione nemica, confermava le sue qualità di combattente”. Nell’aprile dello stesso anno vola su Addis Abeba insieme a membri de La Disperata.
Pochi giorni e – il 5 maggio – si sarebbe conclusa anche la campagna d’Etiopia. Sul finire del mese successivo però le autorità italiane dovettero fronteggiare l’instabilità del fronte occidentale. Si rese così necessaria un’operazione diplomatica, trattative utili per controllare al meglio la vasta zona: l’impraticabilità delle strade fece optare per una spedizione aerea. Tra gli organizzatori Mario Borello, un missionario piemontese che ben conosceva la zona e le sue popolazioni.
La strage di Lekemti
Nel primissimo pomeriggio del 26 giugno tre aerei – di cui due senza munizioni – atterrarono nei pressi di Lekemti organizzando un accampamento di fortuna. Una dozzina i militari, tra gli altri – insieme a William D’Altri – l’ex deputato fascista Antonio Locatelli. Asso dell’aviazione ed eroe del primo conflitto mondiale fu con il Vate nel “folle volo”, fotografando dal cielo una Vienna “bombardata” dai volantini dannunziani. In tempo di pace si reinventò esploratore: sulle Ande sudamericane e in Asia, dall’India al Giappone.
Durante la notte però un gruppo di disertori etiopi assaltò il contingente: fatti fuggire i soldati d’etnia galla che avrebbero dovuto fornire protezione, i guerriglieri sorpresero nel sonno gran parte delle forze italiane. Chi rimase intrappolato dentro gli aerei in fiamme, chi – provando a difendersi – non fu fatto prigioniero. Padre Borello, l’unico superstite della strage, riuscì a salvarsi solamente perché pochi minuti prima dell’attacco si appartò in un vicino boschetto per pregare.
Passarono diversi mesi prima che i pochi resti potessero essere recuperati. Con i valori depredati dagli stessi aguzzini, il resto lo fece la fauna selvatica. Impossibile pertanto l’esaudimento di uno degli ultimi voleri di D’Annunzio: il comandante dell’impresa fiumana avrebbe ospitato al Vittoriale le spoglie dell’amico Locatelli. Sul luogo venne eretto un memoriale, poi distrutto dai britannici. Rimane, per ogni caduto di Lekemti, la medaglia d’oro al valore militare.
Marco Battistini