Roma, 2 nov – Sono passati 50 anni da quel 2 novembre 1975, quando all’idroscalo di Ostia, sul litorale romano, veniva ucciso Pier Paolo Pasolini, poeta, scrittore, autore, regista, quasi sempre travisato nella sua alta figura di intellettuale seppur assai discutibile dal punto di vista morale. Una ricostruzione più onesta dovrebbe anche mettere in risalto qualche aspetto della sua vita cancellato. Proprio cinquanta anni fa, a dispetto di quanto oggi “da destra” il personaggio venga quasi rivendicato, La Voce della Fogna di Marco Tarchi lo contestò in modo addirittura feroce.
Il doppio volto di Pasolini
Dopo la strage di Porzus in cui venne assassinato il fratello Guido assieme ad un reparto di partigiani azionisti, per mano di partigiani comunisti delle Brigate Garibaldi, nel 1947 Pier Paolo non esiterà a chiedere la tessera del PCI nonostante fossero quei dirigenti comunisti ad aver comandato gli assassini del fratello. Pertanto PPP è universalmente noto come personaggio illustre e controverso dell’area antifascista, ma è del tutto corretta questa classificazione? Solo in parte. Alla luce dei suoi trascorsi appare deprecabile la visceralità di quel filmato su Salò anche perché, negli anni precedenti, PPP era stato molto inserito nel regime.
PPP da giovane scriveva su Il Setaccio, rivista di critica letteraria della Gioventù Italiana del Littorio bolognese e su Architrave in cui esaltava l’altissimo ruolo della cultura italiana vista in parallelo allo sviluppo dei cambiamenti impressi dal Fascismo. Secondo certe fonti Il padre fu colui che dopo un attentato a Mussolini nel 1925 a Bologna, indicò come responsabile Anteo Zamboni che poi venne giustiziato sul posto. Da Critica Liberale sembra che sia lui che il padre fossero stati proprio dei delatori del Regime: Giorgio Telmon denunciò di essere stato arrestato come antifascista proprio a causa della delazione del suo compagno di scuola PPP, zelante e brillante figlio della rivoluzione mussoliniana. Come intellettuale sicuramente ebbe tratti di notevole acume ma il suo vizietto era già stato punito dai partigiani durante la resistenza anche prima di quando fu poi espulso dal PCI.
Quando PPP si scontrò con la giustizia italiana degli Anni ‘70, l’intellettuale diventato comunista e provocatore dei costumi borghesi, scelse come difensore Alfredo De Marsico uno dei giuristi di spicco del regime fascista e ministro in quella Salò che tanto lo schifava.
Un’incomprensione di fondo
PPP non è stato ricordato né elogiato per la sua posizione antiabortista, ma soprattutto a sinistra per il suo bucolico nostalgismo preindustriale o a destra per quanto ritenesse bravi i poliziotti figli del popolo bersagliati dai sessantottini figli di papà. La spocchia trasformista lo spingeva a criticare gli antifascisti di maniera (oggi ancora attivi) perché non capivano quale fosse il “pericolo fascista” del momento: l‘americanizzazione della società! L’ errore grossolano di rivendicare come vero fascismo quello della società dei consumi è stato forse uno dei pregiudizi più subdoli della dottrina pasoliniana.
Se la cultura neocapitalistica e consumistica spingeva ad una mutazione quasi genetica degli italiani che abbandonavano i valori precedenti compresi quelli cristiani, fu proprio grazie alla vittoria militare degli Alleati anglo-americani, liberalcapitalisti e antifascisti. La cultura popolare seguiva sì col boom economico una direttrice di omologazione livellatrice già nel segno di una pre-globalizzazione, ma proprio a causa della sconfitta del modello sociale e valoriale fascista dinanzi alla preponderante macchina da guerra del capitalismo a stelle e strisce. Il materialismo edonista diventa aspirazione unica dei rapporti sociali tra classi in lotta per il loro status, ma senza più alcuna prospettiva altra, di edificazione corporativa, di grandezza nazionale o di redenzione spirituale. Come non vedere in questo baratro la somiglianza di comunismo e capitalismo come gemelli omozigoti che alimentano contrapposte ma speculari propagande?
Quel ragazzo così colto e acuto che nei primi Anni Quaranta del XX° Secolo scriveva su Architrave di quanto fosse elevata la statura intellettuale e culturale dei giovani italiani, come ha potuto affermare decenni più tardi che l’incultura consumistica fosse l’inveramento di quella temperie culturale che tanto lo avvinse?
Pietro Ferrari