Roma, 21 nov – Dopo poco più di due mesi si torna a parlare della vicenda Alpi Aviation. La società veneta era finita nel mirino della Guardia di Finanza con l’accusa di avere violato la legge sulla movimentazione di materiali di armamento e le normative a tutela delle aziende strategiche nazionali. La notizia, però, questa volta viene ripresa dal Wall Street Journal. Come mai il più importante giornale finanziario al mondo si occupa di una piccola azienda di Pordenone? Per rispondere a questa domanda dobbiamo capire quali sono le accuse mosse da New York.
L’attacco del Wall Street Journal
Il quotidiano finanziario passa in rassegna la vicenda ricordando come un’azienda cinese, attraverso una serie di operazioni finanziarie complesse, sia riuscita a mettere le mani su un produttore italiano di droni (e cioè dall’azienda di Pordenone Alpi Aviation srl) di cui si era servito in più occasioni il nostro esercito. L’intelligence si è fatta passare l’intera operazione sotto il naso, mentre a svelare tutto è stata la Guardia di Finanza e la Procura di Pordenone. Strano ma vero.
Detto ciò, per i newyorkesi è evidente come “né l’Italia né l’Europa sono capaci di guardarsi le spalle dalle operazioni finanziarie eterodirette da Pechino”. La Cina è in grado di aggirare i labili controlli da parte europea verso “acquisizioni volte a estrapolare tecnologie sensibili e di interesse strategico”.
Una bella tirata d’orecchie che, certo, non sarà piaciuta a Mario Draghi. Infatti, poche ore dopo la Reuters rivela, citando fonti di Palazzo Chigi (che combinazione), che il governo italiano vuole mandare a monte l’operazione. Sarebbe pronta, infatti, una diffida da inviare a tutte le parti che porterebbe al fallimento dell’accordo di cessione a degli investitori cinesi del 75% del capitale di Alpi Aviation. Le tempistiche certo sono un po’ sospette, ma vediamo cosa può fare l’ex banchiere prestato alla politica.
Su Api Aviation Draghi sguainerà il golden power
Sempre secondo l’agenzia stampa, a venire in aiuto al governo italiano sarà il golden power. Il governo eserciterà questo “potere speciale” per proteggere e quindi blindare una società che ha rilevanza strategica per l’interesse nazionale. Si tratta di uno strumento che si applica a tutte le società – non soltanto a quelle partecipate dallo Stato o da altri enti pubblici – operanti nei settori strategici della difesa e sicurezza nazionale nonché a quelle che possiedono attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti, delle comunicazioni. Stiamo parlando della legge n.56 del 2012 che, come ricorda sempre la Reuters, finora l’Italia ha usato in quattro occasioni: “ Tre volte hanno evitato le offerte cinesi, e due golden power sono state attivate dal governo di Draghi”. Il presidente del consiglio sta costruendo una “grande muraglia” anti-Cina.
Lo scudo anti-Cina (ma solo per accontentare Washington)
La prima volta lo scudo è servito lo scorso 31 marzo, quando il consiglio dei ministri ha utilizzato il veto per bloccare la vendita del 70% della Lpe (società che produce reattori epitassiali) alla società cinese Shenzhen Investment Holdings Co. Mettere in mano ai cinesi un’azienda di semiconduttori sarebbe stato un pugno in faccia agli alleati d’oltreoceano. In questo settore la Repubblica Popolare è molto forte e lavora per espandere il suo raggio d’azione. Con gli Usa, dopo la crisi dei semiconduttori (dovuta al lockdown), è in atto un duello all’ultimo sangue.
Il secondo caso sembrerebbe più inspiegabile. Draghi ha bloccato anche la cessione di Verisem, azienda romagnola di sementi per ortaggi, a Syngenta, primo gruppo agrochimico mondiale di proprietà dei cinesi di Sinochem. I semi non sono strategici come i droni o i semiconduttori, eppure l’affare è andato a monte. In realtà si è trattato di uno ceffone a Syngenta, diventata il polo attorno a cui si sono raggruppati tutti i gruppi chimici concorrenti agli Usa.
Da Milano a Pordenone passando dalla Romagna: lo scudo contro Pechino funziona bene. Probabilmente anche questa volta Mister Draghi impallinerà i cinesi. Difficilmente l’operazione “Alpi Aviation” andrà in porto. Attenzione, però, il premier non vuole proteggere le aziende italiane da scalate ostili, ma cerca solo di accontentare Washington. E se c’è qualche tentennamento ci pensano i giornali finanziari a mettere Palazzo Chigi sulla retta via. In fondo, il Wall Street Journal ha ricordato agli italiani e agli europei che senza gli alleati d’oltreoceano non sappiamo proteggere anche il giardino di casa nostra. Menomale che noi italiani abbiamo Draghi, con lui siamo in una botte di ferro.
Salvatore Recupero