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Alla faccia del made in Italy: Campagnolo verso la Romania

by Francesco Meneguzzo
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FM28012015-campagnolo-figura1Vicenza, 30 gen – Campagnolo, storico marchio, o premium brand come scrivono loro, della componentistica e applicazioni per il ciclismo, basato da sempre a Vicenza, ha appena annunciato l’ulteriore delocalizzazione di alcuni rami di produzione e logistica in Romania, dove il costo del lavoro e le tutele sociali dei lavoratori sono molto più basse che in Italia, e insieme il licenziamento di 68 dei circa 400 occupati Italiani, in gran parte operai, presso il quartier generale vicentino.

Il resto è cronaca di una protesta annunciata, con i soliti sindacati sul solito “piede di guerra” – in testa Fiom-Cgil e Fim-Cisl – lo sciopero e il presidio dei lavoratori, alcuni con 25-30 anni di storia aziendale alle spalle.

La direzione aziendale deve ritirare la procedura di mobilità – ha dichiarato al Giornale di Vicenza Maurizio Montini, della Fim-Cisl – e pensare a un piano industriale che preveda investimenti al sito produttivo vicentino. Così si mette a rischio anche la sopravvivenza stessa della sede perché nessuno può sentirsi al riparo da nuovi licenziamenti”.

I lavoratori hanno allestito una tenda da campo sotto la quale si è trasferito il presidio permanente. “Chiederemo di ridiscutere il piano – annuncia Maurizio Ferron, della Fiom-Cgil – “nel frattempo lo sciopero proseguirà a oltranza, anche attraverso il presidio. Dobbiamo essere preparati a reggere tempi lunghi”.

Tullio_Campagnolo_1927

Tullio Campagnolo durante il Gran Premio della Vittoria, 11 novembre 1927

Alla vertenza sindacale si aggiunge una protesta diffusa nelle associazioni sportive sorte e prosperate intorno allo storico marchio vicentino fondato nel 1933 dal ciclista Tullio Campagnolo:  “‘Evolve 11’ è il nome dell’ultimo prodotto del gruppo, ma in questo momento sarebbe meglio parlare di ‘involuzione 68’. Tanti sono infatti i dipendenti che rischiano il posto”, sostiene Giovanni Nicola Roca, presidente dell’associazione dilettantesca ciclistica “San Pio X” di Vicenza, che conclude: “Perché a pagare è sempre e solo l’ultimo dei lavoratori?“.

Tutto sommato, un caso come – purtroppo – i tanti di questo tipo che si verificano nei tempi di crisi. Se non fosse che la Campagnolo si è sempre vantata di realizzare prodotti di alta fascia in cui “la combinazione e l’interazione nel processo produttivo tra macchinari industriali e l’intervento umano rappresenti la migliore formula per garantire l’obiettivo anche se sicuramente a discapito del costo. Questo è uno dei motivi principali per cui non si può pensare che prodotti che svolgono la stessa funzione siano necessariamente equivalenti!”, secondo un percorso industriale che vede “la continua tensione alla ricerca della massima performance e alla massima qualità unita all’innato gusto italiano per lo stile e per le forme”.

Prodotti d’eccellenza e costosi, quindi, in cui il costo del lavoro pare ampiamente riassorbito dalle competenze, le capacità e l’esperienza di lavoratori fidelizzati, e l’origine italiana non è un mero accidente geografico ma un valore aggiunto e un fattore promozionale in se’.

20150123_campagnoloPer questo, oltre che moralmente scorretto verso la terra che ha contribuito a promuovere i prodotti, socialmente catastrofico per i lavoratori e le famiglie lasciate sulla strada e per la stessa serenità del lavoro nell’azienda, la prospettiva di delocalizzazione appare quanto mai miope perché non determinata dall’esigenza di insediare unità produttive in un mercato di sbocco – e quello romeno ovviamente non lo è – ma soltanto di sfruttare nel breve termine le opportunità offerte dai minori costi del lavoro e dall’assenza di tutele sindacali, certamente a discapito della qualità delle lavorazioni, tuttora e necessariamente, in parte artigianali.

Francesco Meneguzzo

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