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Il Belgio, quinta colonna dell’Arabia Saudita in Europa

by Nicola Mattei
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La Grande Moschea di Bruxelles

Bruxelles, 23 mar – Correva l’anno 1974 quando, prima nazione in Europa, il Belgio riconobbe ufficialmente la religione islamica. Seguì, l’anno successivo, l’inserimento della predicazione di Maometto nei programmi scolastici. A poco più di trent’anni, l’inizio dell’integrazione dei primi immigrati – nel frattempo diventati una quota sempre più rilevante e, a livello religioso, quasi maggioranza – mostra a quali nefaste conseguenze ha portato con il suo (scontato) fallimento.

Ma è solo una questione di immigrazione? Forse no. Perché il Belgio  non è solo il modello dell’integrazione multiculturale, multitasking e un po’ multitutto, ma anche – o di conseguenza – una vera e propria quinta colonna dell’Arabia Saudita nel territorio Europeo. Siamo sempre negli anni settanta quando l’allora re Baldovino cominciava a stringere buone relazioni con Faisal, all’epoca sovrano di un’Arabia Saudita ancora potenza in fieri ma già capace – si pensi alle crisi petrolifere del 1973 e 1979 – di intendere il suo posto nello scacchiere mondiale. A tracciare il quadro storico è Giulio Meotti, in un articolo su Il Foglio: “Questo riconoscimento (del Belgio nei confronti dell’Arabia Saudita, ndr) avvenne nel mezzo della crisi petrolifera, perché il Belgio cercava rifornimenti dall’Arabia Saudita. Nel 1974, i musulmani in Belgio erano alla prima generazione, lavoravano nelle miniere e volevano spazi per pregare nelle moschee. Allora non c’era autorità religiosa in Belgio. Il re Baldovino offrì ai sauditi il Pavillon du Cinquantenaire con un affitto della durata di 99 anni. L’edificio sorge a duecento metri dal Palazzo Schuman e dal quartier generale dell’Unione europea“. E cosa ne fecero? “L’Arabia Saudita lo trasformò nella Grande Moschea del Cinquecentenario – continua Meotti – diventando l’autorità islamica de facto del Belgio. Alla fine degli anni Novanta è nata una autorità formale, l’Esecutivo dei Musulmani in Belgio, che si occupa degli aspetti materiali, ma non degli aspetti teologici. Questo spazio è rimasto occupato dalla Grande Moschea sotto guida saudita“. Ca va sans dire che di controlli neanche a parlarne, eccezion fatta per qualche screzio con Riad che si risolse nel semplice allontanamento del direttore e nulla più: una misura banale e di facciata per mascherare l’immobilismo di fondo.

Non solo la Grande Moschea, ma anche il Centro islamico e culturale del Belgio (dove Bruxelles è chiamata “capitale degli infedeli”, riporta sempre Meotti) e le decine di luoghi religiosi nel tristemente noto quartiere di Molenbeek, tutto finanziato da generose donazioni in arrivo sempre dalla casata dei Saud. Più che l’immigrazione e l’apertura delle moschee in sé, non sarebbe forse il caso di guardare magari anche da dove provengono i soldi? Senza considerare che la famiglia regnante (altro che Assad, è quella della penisola arabica è vera dittatura familistica che si procrastina da più generazioni) si occupa anche della formazione dei predicatori. Ovviamente di osservanza wahabita, versione dell’Islam annacquata nei petrodollari ma comunque di stampo più che integralista. Non per niente, non è peregrina la definizione dell’Arabia Saudita come di un “Isis che ce l’ha fatta”. E ha portato le sue propaggini fin nel cuore dell’Europa, facendo sentire i suoi effetti da Parigi a Bruxelles.

Nicola Mattei

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1 commento

Anonimo 23 Marzo 2016 - 2:02

infatti wahabita detto bene
qui un musulmano che ha fatto un intervento interessante
https://www.youtube.com/watch?v=Rz8NeegXekc

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