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Non ci provate: Stalingrado non è solo un nome, ma il mito rosso che ritorna

by Sergio Filacchioni
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Stalingrado

Roma, 2 mag – L’aeroporto di Volgograd si chiamerà Stalingrado. Un gesto che, in Russia, viene presentato come un tributo alla vittoria e al sacrificio patriottico. Ma per noi europei, per chi ha memoria storica e coscienza identitaria, è un segnale preciso e inquietante: la Russia post-sovietica continua a rifondare la propria narrazione nazionale sul mito rosso, il che non è certo un peccato per una Russia che non ha mai dismesso la sua vocazione imperialista, se non fosse che qualcuno qui a casa nostra prova a sviolinarci tutto questo come “Tradizione”.

Stalingrado non sarà mai neutrale

C’è chi, qui in Europa, si ostinerà a ripetere che Putin è solo un umile patriota e che i suoi tributi all’Unione Sovietica sono solo passaggi obbligati. Un’analisi che potrebbe anche essere accettabile, a patto che la Russia fosse una grande isola in isolamento perpetuo dalle cose europee. Cosa che, come dimostra la storia e tre anni di guerra in Ucraina, non corrisponde alla realtà: la Russia è impegnata in una guerra militare, economica e propagandistica contro l’Europa. Proprio in questi giorni infatti, i servizi di sicurezza russi hanno resuscitato lo spettro dell’euronazismo. È l’etichetta che Mosca oggi appiccica a chiunque, in Europa, osi rivendicare un’identità, una memoria storica alternativa a quella imposta dai vincitori del 1945. Polacchi, baltici, italiani, tedeschi: tutti “euronazisti” se rifiutano il dogma resistenziale in salsa sovietica. Lo schema, come abbiamo detto più volte, è chiaro: Mosca propone la versione eurasiatica dell’antifascismo, ponendosi come obiettivo quello di colonizzare il dissenso occidentale. In questo disegno la nuova “grande guerra patriottica” si combatte contro ogni “potenziale” risveglio europeo. Non è solo una questione di geopolitica. È una questione morale, storica, culturale. Come ha dimostrato il libro Un raccolto di sanguerecensito su queste stesse pagine – i crimini dell’Armata Rossa contro i civili tedeschi furono sistematici, brutali, inumani. Stupro, deportazioni, massacri: questa è l’eredità concreta che seguì quella “gloriosa” avanzata sovietica di cui Stalingrado è l’emblema. E allora: cosa si celebra davvero? Il patriottismo o la vendetta ideologica? La difesa della patria o la barbarie mascherata da giustizia? La legittima resistenza o l’occupazione dell’Europa Orientale?

Fuori da ogni orizzonte europeo

Questo è il punto cruciale: il mito di Stalingrado serve non a ricordare un sacrificio, ma a riaffermare una egemonia ideologica. Ed è grave che una parte del sovranismo occidentale, per odio verso l’Occidente, finisca per farsi portavoce di un’estetica e di una retorica che appartengono alla nostra distruzione. Noi non possiamo accettare che il nostro immaginario venga colonizzato da simboli rossi. Stalingrado non è una città qualunque. È una bandiera: quella della vendetta, dell’occupazione, del terrore. E chi oggi la sventola, anche sotto forma di toponimo aeroportuale, si pone fuori da ogni orizzonte europeo degno di questo nome. La Tradizione – se non fosse chiaro – non abita né a Washington né a Mosca. Abita nel cuore profondo dell’Europa, in ciò che resta della nostra coscienza storica e spirituale. Per questo, se siamo scampati alla lobotomia del consumismo, non subiremo certo quella della nostalgia sovietica. E se oggi ci chiamano euronazisti, allora è segno che stiamo andando nella direzione giusta: quella che li disturba.

Sergio Filacchioni

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