Dharamsala, 13 nov – Non si arresta l’ondata di proteste in Tibet aumentata, soprattutto nella regione dell’Amdo, in seguito alla “richiesta” delle autorità cinesi ad issare la bandiera rossa sui tetti delle loro abitazioni per testimoniare la loro lealtà alla Cina. I tibetani, che hanno ben appreso come il termine lealtà possa anche essere sinonimo di sottomissione, si sono opposti con veemenza alla richiesta.
Sabato scorso un giovane monaco di soli 20 anni, Tsering Gyal, del monastero di Akyong, nella Contea di Golok Pema, si è tolto la vita con il fuoco alle ore 17.40, ora locale.
La lotta per l’auto determinazione dei tibetani, inasprita con un’ondata di protesta iniziata in concomitanza dei giochi olimpici conta ora 122 auto immolazioni all’interno della Tibet dal 2009, 129 se consideriamo anche i morti in esilio.
Ma della recente escalation di violenza e repressione, di cui mi sono già trovato recentemente a scrivere nelle pagine di questo quotidiano, non si trova traccia nei media nazionali evidentemente concentrati a benedire ben altre “esportazioni di democrazia”. Non è dato sapere se questo silenzio è dovuto al timore di offendere la nuova potenza economica o altro; l’unica cosa certa è che il Tibet sta bruciando.
Cesare Dragandana