La travagliata storia del Monumento alla Vittoria incomincia nel 1926 quando per volontà della Camera dei Deputati, e grazie ad una sottoscrizione nazionale promossa dai bolzanini, si volle commemorare i martiri irredentisti ed in generale tutti i 650.000 caduti italiani. Il progetto, affidato all’architetto Marcello Piacentini, consiste in un arco adornato con alte colonne portanti impreziosite da alti fasci littori. La posa della prima pietra avvenne il 12 luglio dello stesso anno (data rappresentativa in quanto decennale del martirio di Cesare Battisti) alla presenza del Re e dei Marescialli d’Italia Cadorna e Badoglio: tre pietre prese dai luoghi più significativi del conflitto (monte Corno Battisti, monte San Michele e monte Grappa) vennero legate con della calce ottenuta dalle acque del Piave.
Percorrendo l’esposizione museale viene però lecito domandarsi se il suo fine ultimo è effettivamente la creazione di una “memoria condivisa” o piuttosto la condanna dell’italianità dell’Alto Adige, dei suoi simboli e di tutto quello che è stato fatto dal 1918 al 1945. Non appare infatti possibile costruire tale testimonianza omettendo a piacimento determinati episodi: omettendo per esempio la germanizzazione forzata di Bolzano avvenuta nelle decadi a cavallo tra ‘800 e ‘900, omettendo il terrorismo dei separatisti sudtirolesi che negli anni ’60 uccisero oltre una dozzina tra militari e poliziotti italiani, ma soprattutto omettendo che la separazione etnica non è uno strumento del passato ma bensì attualissimo.
In definitiva questa esposizione altro non è che l’ennesimo esempio concreto di come la Südtiroler Volkspartei almeno una lezione dai popoli latini l’abbia appresa: DIVIDI ET IMPERA. L’anatema di tutto quanto è patriotticamente italiano, l’omissione ove possibile dell’obbligo di bilinguismo, la separazione dei gruppi linguistici nelle scuole, nel mondo della cultura ed in quello dell’associazionismo fanno si che non le venga mai a mancare quella base elettorale che le permette di stare al potere dal 1948.
Rimane solo da capire come la sinistra italiana, in cambio di una poltrona, possa prestarsi a tutto ciò.
Luca Repentaglia