Roma, 19 feb – Si è svolta ieri, all’ambasciata italiana presso la Sante sede, la cerimonia per ricordare i Patti Lateranensi. Sottoscritti l’11 febbraio 1929 – e modificati il 18 febbraio del 1984 – stabilirono per la prima volta regolari relazioni bilaterali tra Italia e Santa sede, che dall’unità del paese non avevano ancora raggiunto il mutuo riconoscimento.
Il Regno d’Italia nato nel 1861 vedeva infatti il suo corpo mutilato di Venezia – in mano austriaca – e Roma, presieduta dal Pontefice. Roma veniva ad assumere un valore simbolico e fondativo. La sua mancanza privava il Regno del proprio cuore, della propria capitale naturale e della storia millenaria che accompagnava la città eterna.
Il primo attacco alla Chiesa da parte del nuovo Stato unitario fu legislativo. Attraverso le “leggi eversive” attuò una politica restrittiva, colpendo in particolare gli enti ecclesiastici, fortemente soppressi e spogliati dei propri patrimoni, incamerati dallo Stato.
Parallelamente il Regno d’Italia cercava una soluzione diplomatica alla “questione romana”, riguardante l’indipendenza del Papa e della Santa sede, ma senza successo.
L’impasse fu superata nel 1870, sfruttando la sconfitta di Napoleone III – ultimo difensore della Chiesa temporale – ad opera dei prussiani. L’esercito italiano occupò Roma attraverso la breccia di Porta Pia, ad esclusione della città Leonina (Monte Vaticano e Castel Sant’Angelo): il Papa era prigioniero di un’enclave dorata. È l’inizio della fine dei rapporti fra Stato e Chiesa, la quale non accettò il contentino della “legge delle guarentigie”, con cui il governo italiano riconosceva in via unilaterale al Pontefice immunità e privilegi.
In un paese prettamente cattolico la diatriba spaccava le coscienze, creando una sorta di scollamento di parte della popolazione, divisa fra vita politica e scomuniche papali. Così l’Italia, finalmente unita nei confronti del mondo esteriore, ha vissuto sessant’anni come uno specchio crepato, a rischio di rompersi. Fu il governo fascista a prendere in mano i pezzi dello specchio, cercando di fonderli fra loro. Coerentemente al motto “tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nulla contro lo Stato”, Mussolini creò il varco attraverso il quale tutti i cittadini potessero entrare finalmente ‘in Italia’ a pieno titolo. Lo strumento scelto fu quello concordatario, figlio di una contrattazione bilaterale e paritaria fra le parti, poi costituzionalizzato. I Patti Lateranensi constavano di tre documenti: un trattato che riconosceva lo Stato della Città del Vaticano; il concordato che regolava i rapporti fra Stato e Chiesa in Italia; la convenzione finanziaria che chiudeva le questioni sorte dopo le spoliazioni degli enti ecclesiastici a seguito delle leggi eversive.
Un abbraccio fra Stato e Chiesa, quindi. O una morsa con cui Ercole è riuscito a tenere Anteo lontano da terra. Se da un lato la religione cattolica veniva formalmente ad avere una posizione di privilegio – già conosciuta nello Statuto Albertino – quale “religione di Stato”, dall’altro veniva approvata la “Legge sui culti ammessi”, ancora oggi in vigore, con cui si garantiva ampia libertà religiosa, si riconoscevano effetti civili al matrimonio acattolico, e si parificavano i culti dal punto di vista sostanziale.
Ancora, se da un lato i Patti concedevano privilegi ed esoneri per gli ecclesiastici, dall’altro lo Stato italiano si garantiva la preventiva approvazione delle nomine di parroci e vescovi. Questi ultimi dovevano addirittura giurare fedeltà allo Stato.
Come Mussolini spiegò nel discorso conclusivo sui Patti:
“Vi sono due sovranità ben distinte, ben differenziate, perfettamente e reciprocamente riconosciute. Ma, nello Stato, la Chiesa non è sovrana e non è nemmeno libera. Non è sovrana per la «contraddizione che nol consente»; non è nemmeno libera, perché nelle sue istituzioni e nei suoi uomini è sottoposta alla leggi generali dallo Stato ad è anche sottoposta alle clausole speciali dal concordato. Ragion per cui la situazione può essere così definita: Stato sovrano nel Regno d’Italia; Chiesa cattolica, con certe preminenze lealmente e volontariamente riconosciute; libera ammissione dagli altri culti.”
L’“uomo della Provvidenza” – come venne chiamato Mussolini da Pio XI – aveva ufficialmente chiuso la questione romana e il conflitto più palese con la Chiesa, ma aveva aperto il fronte per assorbire il cattolicesimo politico e ridimensionare le organizzazioni giovanili cattoliche. Con gli stessi Patti Lateranensi si cercava di imbrigliare l’Azione Cattolica, e nel discorso conclusivo già citato Mussolini delineava lo scenario del futuro scontro fra Stato e Chiesa: l’educazione dei giovani. Del resto il fascismo presentava i caratteri di una religione nazionale e laica, politica, che non demandava ad altri la cura della sfera spirituale.
Non sfuggiva a Mussolini l’importanza del valore universale della religione cattolica, ma altrettanto sosteneva che universale lo era diventata a Roma, cioè lo stesso volano che il fascismo voleva sfruttare per lanciare “la propria sfida alle stelle”.
Dopo la guerra i Patti Lateranensi, come altre invenzioni legislative del ventennio, continuarono a vivere, marchiando anche la Costituzione. Dopo settant’anni dalla storica firma, è un altro uomo forte della politica italiana a sedersi al tavolo delle trattative con la Chiesa: Bettino Craxi. Nel mezzo, due passaggi fondamentali per entrambe le parti: la Costituzione e il Concilio Vaticano II. Con il Nuovo concordato la religione cattolica perde l’imprimatur statale, ma anche il controllo sulle nomine; viene affermata la laicità dello Stato e l’insegnamento religioso diventa facoltativo.
È il 18 febbraio 1984. Il giorno prima, nel 1600, Giordano Bruno veniva arso vivo ad opera dell’Inquisizione, sempre a Roma, in Campo de’ fiori, dove sorge la sua statua. Quella statua che punta verso il Vaticano e da sempre mal digerita dalla Chiesa, sino a chiederne ancora la rimozione proprio durante le trattative dei Patti Lateranensi. Inutilmente.
Simone Pellico