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Remigrazione, una nuova leva politica con una lunga storia alle spalle

by Andrea Grieco
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Roma, 5 feb – Remigrazione, un termine che è diventato a tutti gli effetti la parola d’ordine di un certo ambiente identitario e che, in seguito ai nuovi sviluppi politici mondiali, sta conquistando sempre più terreno anche nel mainstream. La vittoria nelle ultime elezioni presidenziali Usa dell’asse Trump-Musk, e il forte endorsement di quest’ultimo nei confronti del programma anti-immigrazione di AfD in Germania, sembrerebbe aver sdoganato quasi completamente tale prospettiva.

Cosa si intende per remigrazione?

Ora, anche la cosiddetta destra istituzionale si trova maggiormente a suo agio nell’intavolare discorsi sulla questione, dando poco o nessun peso alle accuse di voler “deportare” gli immigrati che, a pioggia, stanno già iniziando a cadere da sinistra.

Ma cosa s’intende realmente per remigrazione? Ovviamente nulla a che vedere con l’immagine dei famigerati treni piombati evocata dalla schiera progressista. Ma, semplicemente, quel processo di ritorno nella propria Nazione d’origine da parte di tutti quei clandestini e immigrati irregolari presenti sul suolo europeo. Inoltre, questa politica di inversione dei flussi migratori, prevede la costruzione di percorsi volontari di remigrazione anche per tutti quegli immigrati, regolari sulla carta, che però non sono assimilati o che si trovano in una condizione di mancata integrazione.

Il fatto che questo fenomeno interessi coloro i quali non hanno diritto a rimanere all’interno dei confini europei fa immediatamente cadere l’assurda accusa di deportazione, mentre l’ulteriore ipotetico e volontario esodo inverso rappresenterebbe il culmine di quel discorso identitario che ha come parola d’ordine “un popolo, una terra“.

Una necessità che arriva da lontano

Il termine remigrazione, in realtà, non è nuovo nella dialettica politica, pur non essendo mai arrivato all’attenzione dei governi. Rimasto per decenni ai margini della destra radicale, ha avuto una piccola parentesi in alcuni movimenti come Generazione Identitaria a seguito della crisi migratoria tra il 2015 e 2016, per poi trovare fortuna oggi grazie a Martin Sellner, attivista identitario austriaco che ha portato alla ribalta il progetto, inserito addirittura nel programma di governo di AfD e in corso di svolgimento nella nuova amministrazione Trump.

L’origine del concetto di remigrazione può essere ritrovata in alcune elaborazioni teoriche della Nouvelle Droite francese relative alla difesa dell’identità europea già a cavallo tra la fine degli anni ’70 e inizio anni ’80. Nel tempo queste visioni hanno trovato ulteriori sviluppi grazie anche ad autori come Guillame Faye che, in alcuni numeri di Éleménts tra il 1983 e il 1985, parlava profeticamente di organizzare con gli immigrati il loro graduale ritorno nelle terre d’origine. Prospettando inoltre una collaborazione con le Nazioni di provenienza in una più ampia costruzione di solidarietà storiche e geopolitiche tra continenti. Lo stesso Faye, di fronte all’immigrazione massiva da lui concepita come una “colonizzazione” inversa, ha suggerito, con molto anticipo, il rimpatrio di massa come unica soluzione a questo problema esistenziale.

Un termine legato alla narrazione identitaria

La prospettiva remigratoria è sempre stata legata alla nozione di sostituzione etnica, ovvero quel fenomeno attraverso il quale le popolazioni autoctone europee vengono rimpiazzate da masse allogene in nome di un progetto economico e ideologico del Grande Capitale per una funzionale trasformazione sociale. Anticipata anch’essa da alcune intuizioni della ND e, in seguito, ripresa dall’idea di Grande Sostituzione teorizzata da Renaud Camus esplicitata nel suo Le Grand Replacement, questa visione ha da subito trovato nella remigrazione l’unica soluzione radicale.

Fin dalle prime critiche alla società multirazziale, al progressismo globalista e all’immigrazionismo neoliberale, il concetto di remigrazione si è quindi legato a fondo alla narrazione identitaria.

Remigrazione e fine dell’immigrazionismo

Da semplice speculazione teorica, in questo ultimo periodo, la remigrazione si è trasformata in una vera e propria proposta politica concreta. Questa considerazione si va ad inserire in un mutato senso comune riguardo l’immigrazione e i suoi supposti benefici. Dopo anni di appelli immigrazionisti sbandierati a gran voce dal progressismo globalista, ora ci troviamo all’interno di una profonda rivisitazione dello stesso diritto all’accoglienza. Questo evidenzia come si sia arrivati alla fine di un ciclo, al termine del quale stiamo constatando come unica certezza il crollo del globalismo come modello dominante per volontà di nuovi modelli economici post-globalizzazione e post-immigrazione.

Ciò che cambierà nei prossimi anni sarà la risposta alla mutata domanda politica, forse la narrazione mainstream sarà invasa da richiami alla salvaguardia dell’identità etnica e da elogi alle frontiere chiuse. O forse no. Ma l’elemento principale di questa nuova tendenza storica consiste proprio nell’apertura verso molteplici scenari di azione possibili a riprova che, checché ne dicano adoratori dell’ultimo uomo e seguaci di Fukuyama, la storia non è ancora finita.

Andrea Grieco

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