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Ipocrisia industriale, Bombassei: "Brembo resterà italiana". Ma la produzione è già all'estero

by Filippo Burla
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Roma, 5 nov – In tempi di svendite a saldo di interi comparti della nostra economia, sentir parlare di “italianità” può sembrare una lodevole eccezione. E’ quello che ha fatto Alberto Bombassei, patron di Brembo ed ex numero due di Confindustria.
“Il nostro Paese ha bisogno di valorizzare al meglio il made in Italy, riconosciuto in tutto il mondo e sempre più spesso imitato. Le nostre imprese necessitano di nuove ed efficaci infrastrutture per garantire lo sviluppo e di interventi che facilitino gli investimenti in innovazione. Elettrico e guida autonoma costituiscono scenari di mobilità di là da venire, mentre ibrido e guida assistita rappresentano soluzioni già oggi a portata di mano ed efficaci. Nelle aziende bisogna puntare sempre di più sui giovani e sulle donne. Finché ci sono io, Brembo resterà italiana“. Parole quasi da manifesto programmatico, che coniuga ricerca, sviluppo, investimenti e mantenimento del cuore entro i nostri confini.
Ma è davvero così? Brembo è indubbiamente nota in tutto il mondo, specialmente nell’ambito delle corse motoristiche dove i suoi impianti frenanti sono spesso santificati a “San Brembo”. Lo stesso dicasi per il Kilometro Rosso, centro di ricerca d’eccellenza che corre lungo l’autostrada A4. Parliamo insomma di una realtà con solide radici, capace di avere una visione a lungo termine. Ma che, allo stesso tempo, non ha mai disdegnato di trasferire le produzione fuori dall’Italia.
Nonostante i risultati da sempre eccellenti, infatti, da anni Brembo segue la via delle delocalizzazioni. In principio fu la Cina, dove venne aperto il primo stabilimento all’inizio del millennio, seguito da numerosi altri per investimenti da centinaia di milioni. Il 2008 è la volta dell’India, dove pochi mesi fa è stata annunciata la costruzione di un nuovo sito. La vera gallina dalle uova d’oro è però l’Europa dell’Est: in Repubblica Ceca, Polonia Slovacchia un operaio costa in media un terzo rispetto all’Italia. E non si tratta sempre di nuove produzioni (come, va detto, nel caso dei 700 dipendenti di Monterrey, in Messico), ma di linee già esistenti che vengono trasferite armi e bagagli. Lasciando sulle nostre spalle i costi dei licenziamenti: Brembo ha seguito lo stesso schema di Fiat, riducendo la forza lavoro tricolore e aumentando di converso quella all’estero.
Così, se l’ultimo rigo di bilancio dà indubbiamente ragione alla strategia di Bombassei, a livello globale per l’Italia ciò si traduce in una perdita netta. La quale non viene in alcun modo compensata dal mantenimento entro i nostri confini delle attività di ricerca e marketing, strutturalmente incapaci di assorbire – anche solo numericamente – le migliaia di esuberi dal lato della produzione. Se l’italianità è un valore, quest’ultima lo è ancora di più. Ma solo con il primo elemento non è possibile fare buona economia.
Filippo Burla

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