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Figli di Negri (nel senso di Toni)

by La Redazione
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toni_negriRoma, 21 ott – Sabato 19 si è svolta a Roma  la tanto temuta, per motivi di ordine pubblico, manifestazione dei “movimenti antagonisti”  che ha sfilato da San Giovanni a Porta Pia, dove ha messo letteralmente  le tende.

Oltre al rituale strascico di incidenti, quel che colpisce sono le rivendicazioni politiche che sono state espresse dall’arcipelago di sigle che hanno promosso il corteo: tra cui i No-Tav , i No-Muos, Diritto all’abitare e associazioni di immigrati che chiedono il permesso di soggiorno in Italia. La piattaforma che unisce le richieste di questi movimenti è quindi di carattere rivendicazionista.

L’ottica è quella della “richiesta” di un qualcosa che si ritiene doverosa, da parte dell’autorità costituita, in questo caso le istituzioni statali, che dovrebbero, nell’ottica dei manifestanti della piazza romana di sabato,  soddisfare queste richieste  ad ogni costo.

Quando alcuni intervistatori e giornalisti hanno chiesto ai promotori della manifestazione come potesse lo Stato trovare le risorse per varare provvedimenti in grado di soddisfare le loro richieste, le risposte erano quasi unanimi: sospendendo le grandi opere infrastrutturali, tra le quali la ormai famosa  Tav Torino-Lione, per destinare i fondi all’edilizia popolare  e ad un Welfare State di nuova generazione.

E’ singolare come queste richieste, piuttosto confuse, contraddicano di fatto quello che è stato il patrimonio teorico della sinistra italiana e cioè quel filone “operaista” che dai Quaderni Rossi di Mario Tronti, Massimo Cacciari, Alberto Asor Rosa degli anni sessanta, fino  alle opere di Toni Negri sull’operaio-massa e l’operaio-sociale hanno dominato  l’immaginario di intere generazioni “antagoniste “ della sinistra e del sindacalismo italiano nell’analisi del conflitto capitale/lavoro.

Ora, l’orizzonte è diverso e la diluizione della “lotta di classe” avviene in un magma indistinto nel quale si mescolano con disinvoltura richieste le più disparate e che provengono da ceti e categorie assai diverse tra loro e non unite da nessun fil rouge che non sia il soddisfacimento del “bisogno materiale immediato”.

In questo modo convivono fianco a fianco il “bisogno” dell’immigrato di avere un permesso di soggiorno, quello del precario di avere un lavoro a tempo indeterminato, quello del senza-casa ad averne una, ma non si affrontano i nodi centrali che impediscono alla società attuale e alle sue istituzioni di soddisfare tali richieste. Men che meno se ne comprendono le dinamiche.

Sembra proprio che questi movimenti, abbiano definitivamente gettato alle ortiche le idee di  Marx e del filone  proletario-operaista, per assumere, invece, in pieno la teoria  “delle moltitudini” destrutturate  e senza identità teorizzate nel libro di Negri e Michael Hardt “Impero” del 2003, nel quale si teorizza che il mondo sorto dopo il crollo del blocco sovietico è il mondo del libero mercato che ha travolto le frontiere dei vecchi Stati-nazione. La sovranità è passata a una nuova entità, l’Impero, a cui partecipano i vertici degli Stati Uniti e il G8, agenzie militari come la Nato, gli organismi di controllo dei flussi finanziari come la Banca mondiale o il Fondo monetario, e infine le multinazionali che organizzano la produzione e la distribuzione dei beni.

L’Impero vuole porsi come fonte della pace e della giustizia. Ma porta dentro di sé gli stessi elementi che potrebbero condurlo alla rovina: la moltitudine degli individui che nelle opportunità offerte dalla globalizzazione possono trovare gli spazi per una rivoluzione dell’ordine mondiale.

Ora se le premesse possono essere anche superficialmente condivisibili, la conclusione che vede in queste “moltitudini “ o “movimento dei movimenti”, come si sono autoproclamati i marciatori del 19 ottobre, i portatori di un cambiamento rivoluzionario su scala globale, non solo altro che la ripresa del trotzkismo in salsa nuovo millennio che auspica il crollo degli Stati-Nazione a favore di una dicotomia  globale multinazionali-moltitudini che dovrebbe sostituire l’ormai obsoleta dicotomia proletari/borghesia detentrice dei mezzi di produzione.

In conclusione, le “moltitudini” del 19 ottobre sono in diretta relazione con quegli stessi poteri che  ne negano i “diritti” e ne sono , in pratica, la diretta emanazione e filiazione, in una simbiosi dialettica che spiega la perfetta  impotenza politica e progettuale della manifestazione del 19.

Carlo Bonney

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