Roma, 20 mag – Un paio di anni fa – e più precisamente il 20 aprile 2023 – la Roma conquistava le semifinali di Europa League ribaltando, ai tempi supplementari con un sonoro 4-1, gli olandesi del Feyenoord. Tra i migliori in campo Nemanja Matic, centrocampista fortemente voluto in estate da José Mourinho, per l’occasione “stratosferico, ovunque, con uno spessore tipico solo dei grandissimi giocatori”. Ma oltre che nelle faccende proprie del rettangolo verde, il pretoriano dello Special One – i due avevano già lavorato in Inghilterra (Chelsea e Manchester United) – dev’essere un tipo particolarmente deciso anche quando si tratta di difendere le proprie idee. Proprio in questi giorni in Francia è scoppiata la polemica per la scelta del serbo, oggi in forza all’Olympique Lione, di coprire una particolare patch arcobaleno.
Il tape della discordia
Come ogni anno, infatti, la Ligue de Football Professionnel, ossia l’organo della FFF (Fédération française de football) che organizza la Ligue 1, ha imposto alle squadre della massima competizione transalpina, in occasione della Giornata Internazionale contro l’Omofobia, di scendere in campo con l’inflazionata bandiera a sei colori apposta sulla manica destra della divisa da gioco.
Entrato in campo negli ultimi venti minuti della gara conclusiva del campionato, a differenza dei suoi colleghi, Nemanja Matic ha coperto il logo in questione con una strisciata di tape adesivo bianco, solitamente utilizzato dai calciatori per fissare le fasciature (o i parastinchi). Una scelta “rivendicata” in modo indiretto anche sui social, dove il mediano classe ‘88 ha postato una foto in compagnia di capitan Lacazette, arrivato all’ultima presenza con la compagine arpitana.
Le accuse del ministro dello sport
A dir la verità già in passato la ricorrenza del 17 maggio aveva provocato più di una polemica oltre l’arco alpino. Nella scorsa stagione, infatti, al maliano Mohamed Camara – centrocampista del Monaco – vennero inflitte per quattro giornate di squalifica per un comportamento del tutto simile a quello di Nemanja Matic. Il centravanti Mostafa Mohamed, egiziano del Nantes, si è invece rifiutato per la terza annata consecutiva di scendere in campo, precisando su Instagram la propria posizione, dovuta a “valori profondamente radicati, legati alle mie origini e alla mia fede”.
Marie Barsacq, ministro dello sport francese, ha bollato le legittime prese di posizione dei calciatori definendole una “colpa professionale e morale”. Come se dal ‘pensa come vuoi, ma pensa come noi’ si fosse passati direttamente alla seconda metà della frase.
Nemanja Matic e i bombardamenti sulla Serbia
Tornando a Nemanja Matic, non è la prima volta che il quarantotto volte nazionale serbo fa parlare di sé per scelte non conformi al discorso mainstream. Nel novembre 2018 si rifiutò di appuntarsi sulla casacca dei Red Devils il Remembrance Poppy, papavero rosso da quelle parti simbolo della fine del primo conflitto mondiale.
Spiegò: “Provo profonda solidarietà per chiunque abbia perso i propri cari a causa dei conflitti. Personalmente però è solo il ricordo di un attacco subito da dodicenne quando vivevo a Vrelo, con la mia terra devastata dai bombardamenti Nato del 1999. Sebbene l’abbia già fatto in passato, in seguito a una profonda riflessione non ritengo giusto indossare il papavero sulla mia maglia. Non voglio sminuire un simbolo di orgoglio britannico, né offendere nessuno”.
Per motivi diversi, ma sulle stesse frequenze si trovò anche l’irlandese James McClean. L’esterno, allora allo Stoke City, è nativo di Derry, la città del Bloody Sunday. Qui nel 1972 i soldati britannici aprirono il fuoco contro i manifestanti uccidendo tredici civili: “a causa della mia storia non posso proprio indossare qualcosa che rappresenti la Gran Bretagna”.
Marco Battistini