Roma, 20 mag – Nel discorso pubblico sulla scuola italiana durante il Ventennio fascista, un nome giganteggia su tutti: Giovanni Gentile. La sua riforma del 1923, il Liceo Classico come culmine dell’educazione nazionale, l’idealismo pedagogico eretto a canone assoluto: tutto sembra ruotare attorno al “filosofo del Fascismo”. Ma questa lettura, per quanto radicata, è limitante e parziale.
Oltre Gentile, un progetto di riforma mai esaurito
La centralità dell’atto educativo, l’idea di scuola come formazione dello spirito nella storia, restano punti alti e, in parte, irripetuti nella tradizione pedagogica italiana. Tuttavia, ridurre tutta la pedagogia fascista alla sola figura di Gentile significa sottovalutare il processo di evoluzione e di estensione della missione educativa del regime, che dal decennio successivo iniziò a coinvolgere aspetti politici, sociali, corporei, persino militari. La verità storica e culturale è che la scuola Fascista non si è esaurita in Gentile, né si è congelata nel suo spiritualismo accademico. Dopo Gentile, il Fascismo ha continuato a riformare la scuola, a penetrarla, a politicizzarla, a piegarla a una missione nuova: costruire l’uomo nuovo, non solo educarlo al bello e al vero. Ed è in questa direzione che vanno riletti tre testi oggi dimenticati, ma fondamentali per comprendere la complessità – spesso taciuta dai moderni commentatori – della pedagogia fascista: Pensiero ed Azione di Giuseppe Flores D’Arcais (1936), Educazione Politica di Mimmo Sterpa (1941) e Aspetti atletici dell’eroe di Cesare Bonacossa (1939).
La pedagogia come fucina dell’uomo fascista
In Pensiero ed Azione, D’Arcais ci mostra un’immagine del Fascismo come dottrina incarnata, non accademica: «non c’è concetto dello Stato che non sia fondamentalmente concetto della vita». La scuola è parte attiva di un progetto spirituale integrale, che vuole formare non solo intelligenze, ma coscienze, caratteri, energie morali. Il Fascismo è una filosofia dell’azione, che rifiuta l’intellettualismo fine a sé stesso: «la supremazia, nell’uomo, delle forze pratiche, morali, volitive, sulle forze puramente e freddamente intellettualistiche». Lo Stato educatore non è entità astratta, ma realtà viva che plasma l’individuo a partire da un ideale totale: «contenuto ideale […] sociale, politico, religioso». È la pedagogia fascista, intesa come rifondazione etica dell’uomo. Altro che scuola neutra o tecnica: qui l’educazione è lo strumento primario per un’antropologia nuova, una rigenerazione nazionale.
Dalla scuola alla politica: lo Stato educatore oltre l’aula
Nel suo Educazione Politica, Mimmo Sterpa mette in discussione la centralità assoluta della riforma gentiliana, proponendo una visione più dinamica, inserita nel cuore della Carta della Scuola di Bottai. Qui la scuola non è più solo il tempio dello spirito, ma diventa organo vivo della rivoluzione fascista, laboratorio morale e politico della Nazione. Sterpa lo afferma chiaramente: «non si tratta […] d’una Scuola in cui si fa della politica, quanto d’una Scuola che fa la politica». Il compito è trasformare la politica da “opportunità transitoria” a “ferma, duratura, costruttiva consapevolezza”. È in questo contesto che emerge il concetto di “collettività di individualità”, apparentemente in tensione col totalitarismo, ma in realtà funzionale alla civiltà fascista: «la collettività del Fascismo, poiché tende a costruire una civiltà, dev’essere una “collettività di individui”». Anche la “tendenzialità professionale” viene chiarita: non è riduzionismo tecnico, ma «orientamento ed educazione alla professione, cioè la “consapevolezza” — fatto integralmente morale ed educativo». È un’educazione che penetra nella vita pratica elevandola, non che si lascia contaminare da essa.
Forza e pensiero: l’atleta-eroe e l’educazione integrale
Il contributo più radicale alla pedagogia fascista viene forse da Cesare Bonacossa, con il suo Aspetti atletici dell’eroe. Qui la scuola si apre alla dimensione corporea e agonistica, non come aggiunta, ma come fondamento etico. Lo sport non è evasione, ma rito civile, strumento di formazione spirituale: «le discipline atletiche non debbono essere fine a se stesse, ma […] rafforzino nell’individuo la coscienza psico-neuro-muscolare di una perenne e vigilante ascesa». L’“atleta-eroe” è il simbolo del nuovo cittadino: «un legionario che affronta le battaglie atletiche nel nome del popolo». L’educazione è corpo, volontà, spirito in perfetta sintesi. Per Bonacossa, lo sport è filosofia dinamica: «la filosofia sportiva […] vuole essere una dottrina essenzialmente pratica e dinamica, come la vita giovanile». Sorprendentemente, questa visione anticipa alcuni tratti della fenomenologia di Merleau-Ponty, che, lontano da ogni mitologia eroica, attribuisce al corpo una centralità altrettanto fondativa: non semplice strumento, ma soggetto dell’esperienza, “condizione del mondo”. Così come Bonacossa parla di “coscienza neuro-muscolare” e di una preparazione fisica che è anche morale, Merleau-Ponty scrive che «il corpo non è nello spazio come una cosa; è ciò attraverso cui c’è spazio», e che «la coscienza è motricità». Nel gesto atletico, Bonacossa vede un’azione simbolica totale, un’educazione incarnata, esattamente come Merleau-Ponty descrive la percezione come motricità cosciente. L’eroe fascista, nel suo equilibrio di forza e pensiero, diventa allora – al di là delle differenze ideologiche – una figura che incarna una pedagogia dell’essere nel mondo. Con un linguaggio muscolare e politico, Bonacossa parla lo stesso linguaggio incarnato del filosofo francese, laddove entrambi rifiutano una visione disincarnata della conoscenza e della formazione. In un’epoca in cui la filosofia «è rimasta dietro la persiana», Bonacossa la richiama a scendere in strada, a misurarsi con il sangue, il sudore, l’asfalto e la guerra.
Lo Stato che educa la Nazione: una scuola totale
Unendo questi tre contributi, emerge una visione della scuola fascista molto più articolata e rivoluzionaria di quanto si ammetta. Gentile fu l’iniziatore, ma dopo di lui il Fascismo elaborò un modello scolastico nazionale, produttivo, corporativo, agonistico, morale. La scuola fascista fu progetto di civiltà. Come scrive Sterpa, «i problemi della Scuola sono i problemi stessi della Nazione, della società, della politica, della Rivoluzione». Non vi è differenza fra educazione e governo: lo Stato si fa scuola, la scuola si fa Stato. In tempi di crisi educativa permanente, dove la scuola è ridotta a servizio, quiz o parcheggio sociale, vale forse la pena tornare a riflettere su quella stagione in cui l’educazione era una missione antropologica, e lo Stato pretendeva di costruire cittadini, non utenti.
Sergio Filacchioni