
Il problema, come sempre, è quello delle coperture. Di numeri concreti ancora non se ne vedono, ma è sicuro che nell’immediato servono almeno 10 miliardi, che potrebbero a regime arrivare fino a 50. Si pone allora la più classica delle questioni: dove trovarli?
La ripresa non consente facili entusiasmi, dalla minima crescita del Pil è difficile che giungano le risorse aggiuntive necessarie. Un aumento delle tasse sarebbe in conflitto con l’idea di fondo che punta a ridurre la pressione fiscale, anche se non è escluso che si tagli da una parte per aumentare un po’ da un’altra. Escluse tutte queste strade, l’ultima percorribile rimane quella della riduzione della spesa. E l’obiettivo è già stato messo nel mirino. Si tratta del più classico di tutti, quella voce che dopo il comparto sicurezza è sempre la prima vittima sacrificale: la spesa sanitaria.
Yoram Gutgeld, commissario alla revisione della spesa che ha preso il posto di Carlo Cottarelli, ha parlato di “squilibri”, “ospedali gestiti bene ed altri meno bene”, “migliorare l’operatività e i servizi dello Stato”. Con estrema attenzione, il parlamentare Pd non ha mai usato la parola “tagli”. Mascherandoli dietro interventi di fioretto che in realtà sono di spada. Non è un mistero, d’altronde, che dietro la maschera della spending review non si nasconda un processo di efficientamento, ma di tagli lineari la cui pillola è indorata ricorrendo ad un nuovo vocabolario. Ma sempre di tagli si tratta, comunque li si voglia chiamare. E il settore della sanità è proprio lì a dimostrarlo: in anni di revisione dei suoi costi di funzionamento, secondo le statistiche dell’Ocse, dal 2010 al 2014 la spesa sanitaria ha perso quasi 8 miliardi di euro, una riduzione del 7.7%. Tagliare altri 10 miliardi vorrebbe dire portare la percentuale -sia pur ripartita in più anni- a quasi il 20%. Un crollo simile a quello che la Grecia ha affrontato fra 2009 e 2012.
Il ministro della salute Beatrice Lorenzin ha cercato di correre ai ripari, con effetti quasi comici. Le parole d’ordine sono sempre le stesse: “efficientamento”, “obiettivi di finanza pubblica”, e così via. La vetta si raggiunge però quando il principio dei vasi comunicanti viene piegato ad uso e consumo delle esigenze del governo. “Io mi batto perché le risorse rimangano nel sistema, poi se si riducono le tasse è evidente che questo è un beneficio di tutti. Una parte potrà andare nel ridurre le tasse ma il resto va a personale, ricerca e nuove tecnologie, e in generale a migliorare i servizi”, ha affermato la Lorenzin, dimenticando di spiegare in base a quale logica è possibile tenere risorse all’interno di un sistema e contemporaneamente permettere che queste escano. Delle due, l’una: o i tagli rimangono in sanità e vanno davvero a potenziare ricerca, personale, investimenti (ma allora non si capisce cosa ci sia da tagliare, visto che queste voci son sempre le prime a saltare) oppure se ne escono e vanno a contribuire generosamente all’annunciato taglio delle tasse. Arrivati a questo punto, i dubbi che la risposta sia la seconda sono più che leciti.
Filippo Burla
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