Roma, 3 nov – L’antiserie per antonomasia, Boris, è sbarcata da pochi giorni su Disney+ con l’attesissima quarta stagione, dopo un silenzio lungo dodici anni. La serie creata da Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre (scomparso nel 2019) e Luca Vendruscolo aveva avuto una nuova giovinezza grazie allo sbarco su Netflix, circa due anni fa, ampliando alle nuove generazioni il graffiante e politicamente scorretto humor di Renè Ferretti e la sua crew. Ma il revival – purtroppo – non ha retto il tempo.
Boris 4
Doveva “distruggere Disney+” – come ironicamente hanno sottolineato le campagne pubblicitarie di lancio alludendo alle serie del passato. Ma purtroppo – e partiamo con il primo e fondamentale problema – l’unico a risultare distrutto è proprio quello che Boris ha rappresentato con le prime canoniche stagioni: una satira esilarante e scorretta (a tratti micidiale) contro lo star-system televisivo italiano. Niente peli sulla lingua, scorrettezza a go go contro tutte le categorie dello spettacolo e della società civile, violenza gratuita e critica spietata alla politica e alle sue infiltrazioni nei gangli dei media televisivi. E poi un umorismo scoppiettante, senza pause, coltivato e condito di battute entrate a gamba tesa nel vocabolario popolare e nei cuori degli italiani: “a cazzo de cane”, “smarmella”, “apri tutto”. Il culto di Boris è vivo con migliaia di pagine e canali che continuano a rilanciare senza sosta tutta “la merda” di Ferretti. Ecco, ma Boris 4 non è niente di tutto questo. Duccio ci ha pensato troppo?
A ca**o de cane
La quarta stagione è stata ribaltata e tagliuzzata – a partire dalla scelta di non sviluppare una storia coerente e godibile nella riscoperta di vecchi e nuovi personaggi perché compressa in sole otto puntate che non consentono – appunto – uno sviluppo della storia efficace e senza salti inspiegabili. In Boris 4 è già tutto fatto: non ci si immerge lentamente in una nuova storia, ma si ripercorre una serie già vista mixata agli spezzoni delle inarrivabili prime stagioni. Si dimostra qui l’intenzione Disney+ di confezionare un revival simpatico per i fan ma niente di più. Ma il più grosso attentato fatto al mito di Boris da parte di Disney+ è quello di aver addomesticato i personaggi con la scusa dell’algoritmo e della piattaforma. Ve la faccio breve: la nostra solita troupe tenta di farsi approvare la produzione della propria serie dalla fantomatica “Piattaforma”, un’entità volutamente generica ma che ovviamente allude proprio alle piattaforme streaming a pagamento come Netflix, Amazon Prime e la stessa Disney+. L’approvazione del progetto passa però dal vaglio del dio-macchina “algoritmo”, che introduce nella storia quello che dovrebbe essere la “critica” di Boris. L’algoritmo infatti giudica bene un prodotto audiovisivo proporzionalmente al suo possibile mercato: ecco quindi che per piacere all’algoritmo i soliti tre sceneggiatori (uno fantasma) dovranno inserire nella vita di Gesù quelle sottotrame che piacciono al sistema. La storia teen tra adolescenti, l’inclusività nel cast e nella troupe, quindi un cinese ad interpretare San Marco e un apostolo nero e infine la ricerca spasmodica di minoranze sessuali tra i membri beceri della troupe per ingraziarsi la “piattaforma”.
La critica non regge
Ma purtroppo questo tipo di critica, che meritava veramente venti puntate del vecchio Boris e sui cui si poteva costruire una nuova stagione cult, non regge le otto puntate perché se in passato le gag sorgevano proprio tra lo scontro delle esigenze della regia, con quelle degli sceneggiatori fancazzisti e quelle politiche della “Rete”, adesso tutti quanti remano per avere l’approvazione della Piattaforma, accettando di fatto il diktat dell’algoritmo. La piattaforma non vuole bullismo, parolacce e violenze sul set: ecco che di riflesso (trattandosi di una serie su chi gira una serie) che il potenziale comico di Boris si esaurisce e perfino un personaggio scoppiettante e miticamente becero come Biascica (alias Paolo Calabresi) risulta inefficace. Dire di essere l’antiserie purtroppo non basta, bisogna anche esserlo. Segno dei tempi? Non lo sappiamo, ma pensate solamente tutto quel mondo woke, politically correct e transfemminista che si poteva mettere alla berlina. Un’occasione sprecata.
La qualità ha vinto
Qualitativamente Boris 4 è un prodotto su misura per Disney+. Non si spinge oltre e nemmeno i vecchi attori riescono a reggerne il peso: rimane una serie godibilissima che riesce ovviamente a strappare più di un sorriso e qualche risata. Ma cosa ne è stato di Occhi del Cuore? Dei teatri di posa di Ciampino, degli attori cani e degli stagisti schiavi? Ridateci la “merda”, quella “tantoarchilo” che ci piaceva a noi, i ciack girati “a ca**o de cane”, le luci smarmellate di Duccio e le facce basite, ridateci gli insulti sessisti e razzisti che non chiedevano il permesso alla piattaforma. Ridateci Biascica con gli straordinari di Libeccio e Sergio che ruba su contratti, catering e stipendi. In Boris 4 c’è troppa “qualità”. E a noi la qualità…
Sergio Filacchioni