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Brasillach diventa polemica, ma i suoi versi sono lo sguardo negli occhi del ‘900

by Lorenzo Cafarchio
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Brasillach

Milano, 30 ott – Albert Camus scrisse che “se Brasillach fosse ancora tra noi avremmo potuto giudicarlo. Invece ora è lui a giudicare noi“. Robert Brasillach ha visto la sua vita da poeta, giornalista, intellettuale e uomo finire il 6 febbraio del 1945. Il plotone di esecuzione che lo ha mandato all’altro mondo è stato voluto dalla mano di Charles De Gaulle non prima di aver scontato dal settembre del 1944 mesi e mesi di prigionia nel penitenziario di Fresnes.

Brasillach ci giudica

Di lui i giudici dissero “intelligenza con il nemico” e per questo venne condannato, per aver visto nel fascismo tedesco e in quello italiano la poesia stessa del XX secolo. Non sappiamo quanto serva, nella polemica andata in scena a partire dalla bacheca Facebook dell’On. Paola Frassinetti a seguito del commento “Fascismo immenso e rosso diceva Brasillach” in un post riferito al derby Milan-Inter diventato per qualcuno celebrazione della marcia su Roma, ricordare a Irene Manzi (responsabile nazionale scuola del PD), al senatore dem Dario Parrini e al capogruppo di AVS Luana Zanella, subito scagliatisi contro l’esponente di Fratelli d’Italia, che la poesia citata era estesa anche al comunismo di matrice leninista e stalinista. Erano decenni, quelli ’30 e ’40 del ‘900, capaci di essere densi come un secolo. Bui, certo, ma intrisi di una luce che l’antifascismo oscurantista di quest’epoca non ha la capacità di vedere. Impossibile ora soffermarsi su quelle sfumature, su quei gesti e su quelle sfaccettature di vita. Dietro quegli occhiali tondi Brasillach ha scrutato il novecento, anche attraverso la narrativa – da leggere fino all’ultima riga il giallo edito da Edizioni Settecolori lo scorso anno Sei ore da perdere – ed “ha pagato per noi” leggendo le labbra di Lucien Rebatet. Sempre sui social, importante è scegliere le bacheche da seguire, Sandro Consolato scrive: “Brasillach in questi giorni è stato trascinato di peso nei salotti televisivi. Cosa volete che sia per uno che era stato trascinato davanti a un plotone di esecuzione?“. Dritto al punto Consolato che ricorda il testo, edito in Italia da Scheiwiller, André Chénier dedicato al verseggiatore francese ghigliottinato dalla Rivoluzione francese. Riflette, in quelle pagine Robert, su “come mai” il poeta non fosse emigrato. “Perché non ha preferito l’idea della Patria al suolo della Patria? È stato un caso? No, bisogna dirlo, perché qui sta l’originalità di fondo della posizione di Chénier e di molti suoi contemporanei: è perché non ha voluto. Nei suoi scritti egli mette costantemente a raffronto – e non per pure retorica – due avversari che egli rifiuta in egual modo: gli emigrati e i terroristi“.

Ammaliato dal vitalismo delle rivoluzioni

Lungi da noi, dicevamo, spiegare i gesti e le parole dell’intellettuale transalpino. Lungi da noi provare a far comprendere la penna del francese. Lungi da noi ricordare che Paul Valéry, Albert Camus (ancora lui), Jean Cocteau, Thierry Maulnier, Marcel Aymé, Roland Dorgelès, Paul Claudel, Arthur Honegger, Maurice de Vlaminck e molti altri implorarono De Gaulle, tramite una petizione, di risparmiare la vita allo scrittore. Lungi da noi rammentare un uomo del suo tempo tremendamente ammaliato dal vitalismo delle rivoluzioni, di ogni colore, del secolo breve. Non abbiamo quell’ardire, ma nelle acque fredde nel quale siamo costretti a nuotare oggi figure come quelle di Brasillach sono un canto profondo. Ascoltiamolo e intoniamolo solo per provare a guardare negli occhi quegli occhiali rotti dai fucili della resistenza.

Lorenzo Cafarchio

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