Roma, 10 nov – Abbandonate le chiacchiere deresponsabilizzanti sul ‘destino dell’Occidente come terra del tramonto’ e altre amenità del genere, è bene interrogarsi, seppur in modo assai schematico, sul concretissimo potere (ideologico, militare, economico, ecc.) rappresentato, ancor oggi, dall’Occidente.
Un potere per sua vocazione planetario, perché è nell’universalismo che va rintracciata la vera ‘natura’ dell’Occidente. Detto altrimenti, dove sorge la ‘tentazione’ universalista, là è l’Occidente.
Ecco perché non ha alcun senso parlare dell’Occidente come ‘terra della sera’. Semplicemente perché l’Occidente non ha una sua ‘terra’ (e dunque un suo radicamento), essendo piuttosto da sempre forza ciecamente espansiva e pertanto “indifferente alla geografia” (Carlo Galli). L’Occidente, dunque, come annientamento delle differenze (“nulla d’altro”, lo definisce Roberto Esposito), come inarrestabile tendenza alla dominazione capace di ‘sfondare’ ogni confine, ogni limite, ogni misura.
Prescindendo, adesso, dai primi fallimentari tentativi (dall’espansionismo universalistico persiano in lotta con l’Ellade, al sogno ecumenico di Alessandro), l’Occidente ha davvero inizio solo col cristianesimo.
“‘Occidentale’ – lo notava già Giorgio Locchi – definisce tutta quella cultura (nel senso tedesco del termine) che affonda le sue radici nel sistema di valori introdotto in Europa dal cristianesimo”. Anche Serge Latouche ritiene che la “forma originaria dell’Occidente” sia appunto “la cristianità”, pur avendo, quest’ultima, una ‘genesi’ orientale, che è però, come già detto, ininfluente nell’essenziale (identico discorso vale per l’Islam, nato in Oriente ma occidentale ‘per natura’).
Da qui, se adesso si volessero enumerare le ‘scansioni’ decisive della formazione storico-concettuale dell’Occidente, potremmo riassumerle così: come ‘sistema assiologico’, ovvero come progetto universalistico, l’Occidente nasce appunto col cristianesimo (per poi in buona misura perpetuarsi in veste ‘secolare’). Trova ulteriore slancio con la nascita degli Stati Uniti; in proposito, non va dimenticato il fatto cruciale che l’Atlantico sino alla guerra d’indipendenza americana era un ‘mare interno’ europeo e che fu la decolonizzazione del continente americano ad agire in senso de-globalizzante ma universalistico, mentre il colonialismo europeo era sì spinta globale ma non universalistica (basti, al riguardo, il rimando al Nomos schmittiano).
Economicamente è inscindibile dalla rivoluzione industriale e dal capitalismo. ‘Geopoliticamente’, invece, coincide con la nascita del ‘blocco atlantico’ egemonizzato dagli Stati Uniti. Col crollo del bipolarismo e la fine dell’Urss, l’Occidente ha continuato la sua marcia, tanto che l’ultimo decennio del secolo scorso lo si può interpretare, almeno sinora, come l’età dell’oro della globalizzazione, un momento di sviluppo apparentemente inarrestabile, che tutto pareva travolgere.
Non a caso Latouche, appunto in quegli anni, arrivava a definire l’Occidente una nozione ideologica e per nulla geografica, proprio in quanto compimento di quell’universalismo di matrice cristiana che lo innervava ab origine.
Nell’oggi, la volontà di potenza occidentale sembra ancora capace di dominio, pur avendo in parte rallentato la corsa. D’altronde, non è nemmeno serio lanciarsi in spericolate quanto improbabili profezie. Resta però certo che potrà ancora darsi Storia[1], ovvero l’imprevedibile irruzione dell’alterità, e non mera storia, ossia il perpetuarsi dell’identico in vesti in apparenza diverse, solo a patto che l’Occidente, rinnegando il suo essere, tramonti per davvero.
Giovanni Damiano
[1] Il ricorso alla maiuscola non rimanda, ovviamente, ad alcuna fissità ontologica. Anzi. Ma è sempre meglio chiarire…