Roma, 19 gen – La storia della dodicenne di Pordenone gettatasi dalla finestra pur di non tornare a scuola, dove evidentemente subiva angherie tali da preferire la morte (che fortunatamente non è arrivata: una tapparella ha attutito la caduta, se la caverà) ha riaperto il dossier “bullismo”. Una parola passepartout sotto cui raccogliere indiscriminatamente violenza e goliardia, persecuzione e sfottò, reato ed esuberanza giovanile, confondendo tutto e ottenendo il solo risultato di criminalizzare la vitalità delle nuove generazioni, senza peraltro intaccare minimamente i fenomeni patologici. Del resto il “bullismo” riceve una decisiva impennata grazie alle nuove tecnologie, dove giovani e meno giovani sfogano esattamente quella “democratica” libertà di dire e fare qualsiasi cosa senza assumersene la responsabilità, quello sganciamento tra parole e atti che è proprio l’essenza della pedagogia degli ultimi 70 anni.
Allargando un po’ più lo sguardo, ci si potrebbe chiedere come un mondo che si fonda sulle coraggiose gesta degli imboscati di Piazzale Loreto, che si accanirono contro il cadavere di chi fino a ieri avevano esaltato, possa oggi condannare chi fa della prepotenza contro i deboli e della logica di branco una condotta di vita. Può sembrare un volo pindarico per “buttarla in politica”, ma davvero non si capisce come si possa intervenire sul fenomeno solo a colpi di rieducazione orwelliana e buoni sentimenti – lo stesso tipo di mentalità che genera crisi di rigetto devianti e nichiliste – anziché responsabilizzando le nuove generazioni e insegnando loro una cultura della comunità e del coraggio. Cosa caratterizza, infatti, il “bullismo” (inteso nel senso più pericoloso del termine e non come innocua presa in giro)? È un atteggiamento massificato, conformista, deresponsabilizzato. E sapete qual è il contrario di questa cosa? Non un vago “rispetto”, che non significa nulla, ma l’educazione all’eroismo. Eroe è colui che compie scelte rischiando in proprio, contro l’opinione comune e l’irrisione della massa, spesso contro forze preponderanti. È esattamente il contrario del “bullo”. Ovviamente non si tratta di pretendere che tutti siano eroi, basterebbe indicarne l’esempio, stabilire una norma, un modello a cui conformarsi.
Anziché fare tutto ciò, la politica italiana ritiene invece che sia più proficuo fare l’ennesima, inutile legge e creare dal nulla l’ennesimo, inutile reato. “La prevenzione e l’educazione per il bullismo del web serve, ma non basta. Ci vogliono misure incisive graduate a seconda dell’età: dal Daspo di telefonini e la confisca di computer, alla sanzione penale”, spara a casaccio Donatella Ferranti, presidente della commissione Giustizia della Camera. Daspo di telefonini? Sembra una barzelletta, e invece purtroppo non lo è. Sulla vicenda non poteva non intervenire l’ineffabile Michela Vittoria Brambilla, presidente della commissione Infanzia: “Urge una legge che, come nella mia proposta, lo renda reato specifico, da definire distinguendo tra la posizione dei minorenni, bisognosi soprattutto di interventi educativi, e la responsabilità dei maggiorenni che richiede una risposta sanzionatoria”. È evidente che a fronte di proposte come questa e di “legislatori” di tale calibro (no, dico: Michela Vittoria Brambilla…), ogni ulteriore riflessione è fiato sprecato. Nulla verrà risolto, tutto peggiorerà. A questo punto conviene sperare in una generazione di bulli. Magari saranno proprio loro a prendere a calci questa inetta classe dirigente. Rispetto ai compagni sfigati dà molta più soddisfazione, peraltro.
Giorgio Nigra
1 commento
Al governo sono in grado di creare solo inutili leggi tappabuchi, fine a se stesse.
Si inizia dalle radici, non potando inutilmente rami secchi.