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Eni estrarrà idrocarburi nell’Artico norvegese

by Paolo Mauri
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La nuova piattaforma Eni

Mar di Barents, 2 ott – Eni rende noto che entro la fine del 2015 entrerà in produzione il nuovo campo petrolifero “Goliat” sito nel Mar di Barents al largo della Norvegia.

Il giacimento, scoperto nel 2000, comprende due riserve principali contenenti petrolio e una superficiale di gas naturale in un’area geografica tra le più interessanti dal punto di vista petrolifero del mondo.
L’esplorazione del bacino di Hammerfest, al largo della Norvegia, non è una novità e nonostante l’abbandono da parte di Shell, che ritiene la zona non economicamente remunerativa

Eni ha proceduto in questi anni ad effettuare 5 perforazioni esplorative giungendo alla decisione di passare alla fase di produzione

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La localizzazione geografica della concessione “Goliat”

La parte del Bacino di Hammerfest interessata dalle esplorazioni della concessione Goliat è caratterizzata da una successione stratigrafica che va dal Triassico inferiore (250 milioni di anni fa) sino al Cretaceo superiore (piano Cenomaniano 100 milioni di anni fa), con una litologia che va dalle argille compatte e arenarie intercalate da sottili strati di carbonati del Triassico sino ad argilliti scistose intercalate con letti di dolomite e arenaria per il Cretaceo.

Il progetto dell’Eni ha impiegato sistemi a basso rischio ambientale pur considerando le condizioni estreme dell’area di installazione: la piattaforma Sevan 1000 FPSO (Floating Production Storage and Offloading), oltre ad essere in grado di estrarre immagazzinare circa un milione di barili di petrolio, è stata concepita per resistere anche alle tempeste più violente che potrebbero verificarsi nel Mar di Barents.

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Le concessioni dell’Eni nell’Artico (foto Eni)

Particolare attenzione è stata data alla riduzione dell’impatto ambientale: la piattaforma difatti sarà alimentata per la metà del fabbisogno di energia fornita dalla terraferma tramite un cavo sottomarino tra i più lunghi del mondo, permettendo così di risparmiare circa il 50% di emissioni di CO2. Il gas associato alle perforazioni (principalmente H2S) non verrà bruciato ma sarà reiniettato direttamente in giacimento (fino a 1 miliardo di metri cubi l’anno), al pari dell’acqua connata estratta insieme agli idrocarburi. Il campo di produzione di Goliat si avvale di pozzi e condotte sottomarine all’avanguardia, con sistemi di monitoraggio innovativi in grado di intercettare e circoscrivere eventuali sversamenti direttamente nelle vicinanze dell’evento così da evitare qualsiasi impatto sulla costa.

Come era già successo in Egitto, Eni si avventura là dove altri hanno “gettato la spugna” forti dell’esperienza maturata in quasi 15 anni di attività esplorativa nell’area. Perplessità sono state sollevate dagli ambientalisti di Greenpeace per voce di Truls Gulowsen, responsabile dell’associazione per la Norvegia, che sostiene che “Goliat rimarrà il simbolo di un misero fallimento per gli anni a venire, e dal solo punto di vista economico è già un disastro” motivando questa affermazione col fatto che, secondo stime di alcuni analisti norvegesi, per avere un ritorno economico dalla produzione di Goliat, Eni avrebbe bisogno di un prezzo al barile di circa 95 dollari invece dei 47 attuali dati per il BRENT.

Gli interessi di Eni nell’Artico non sono limitati alla piattaforma continentale norvegese

Arrivano sino all’Alaska passando per la Russia nordoccidentale con partecipazioni che a volte arrivano ad ottenere il 100% delle concessioni.
Riteniamo quindi che ci siano tutti i presupposti per un ulteriore successo del “cane a sei zampe” di San Donato Milanese che ha dimostrato più volte, ed il recente caso egiziano è lì a dimostrarlo, di essere in grado di sfruttare al meglio le risorse tecnologiche all’avanguardia che caratterizzano l’industria petrolifera.

Paolo Mauri

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