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Eroe del lavoro e martire per l’Italia: Filippo Corridoni ci parla ancora

by Valerio Benedetti
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Roma, 23 ott – Il 23 ottobre 1915 cadeva sul Carso, all’età di 28 anni, Filippo Corridoni. Sindacalista rivoluzionario e poi interventista, Corridoni è stato uno dei più grandi «combattenti sociali» di inizio Novecento. Una figura che ha lasciato un’impronta indelebile sia nel vasto schieramento della sinistra avanguardista, sia nel fascismo nascente e poi trionfante. Giornalista brillante e coraggioso, rivoluzionario intransigente, trascinatore di folle, amato e quasi venerato dagli operai che riempivano le piazze per ascoltarlo, Corridoni seppe superare gli angusti schemi del socialismo dogmatico e riformatore per abbracciare la causa dell’intervento nella Grande Guerra.
Era nato a Pausula (oggi, in suo onore, Corridonia), in provincia di Macerata, il 19 agosto 1887. Lettore assiduo di Giuseppe Mazzini, Carlo Pisacane e Karl Marx, Corridoni aderì giovanissimo al Partito socialista, in cui però non si trovò sempre a suo agio. Amico di Alceste De Ambris e Benito Mussolini, avversò l’entrata in guerra dell’Italia contro l’Impero ottomano per conquistare la Libia. Ma, di fronte al primo conflitto mondiale, prese subito atto della fine dell’Internazionale socialista e dell’utopia marxista: «I proletari di Germania hanno dichiarato di essere prima tedeschi e, poi, socialisti. Ecco un fatto nuovo che noi ignoravamo e che abbiamo avuto il torto di non intuire», dirà durante un comizio interventista. Come il suo compagno Mussolini, Corridoni capisce che a essere rivoluzionaria non è la classe, ma la nazione.

Monumento eretto in epoca fascista sul luogo in cui cadde Corridoni


Interventista intervenuto, scriverà a Mussolini prima di partire per il fronte: «Carissimo, fra pochi istanti partiamo per la linea del fuoco. Viva l’Italia! In te bacio tutti i fratelli delle battaglie di ieri sperando nell’avvenire». Malato di tisi, fu spedito nelle retrovie, con suo grande rammarico. Insofferente e fedele al suo spirito ribelle, fuggì per raggiungere la prima linea. Catturato, fu accusato di diserzione e portato davanti al Tribunale di guerra. Ma il generale Ciancio, invece di condannarlo, lo accontentò assegnandolo al 142º Reggimento della Brigata Catanzaro. Trasferito al 32º Reggimento della Brigata Siena, Corridoni partì dalle posizioni di San Martino del Carso per conquistare la Trincea delle Frasche. Al comando di un plotone, diede l’assalto alla postazione nemica raggiungendo l’obiettivo. Mentre stavano arrivando i rinforzi, Corridoni si sporse per chiamarli ed è allora che cadde per un colpo nemico che gli raggiunse la fronte. Ma era proprio quella la «bella morte» che l’«arcangelo sindacalista» aveva sempre sognato: «Morirò in una buca, contro una roccia o nella corsa di un assalto ma, se potrò, cadrò con la fronte verso il nemico, come per andare più avanti ancora!».
Insignito dopo la morte della medaglia d’argento al valor militare, Benito Mussolini la fece convertire in medaglia d’oro nel 1925. Tra Corridoni e il futuro capo del fascismo vi fu sempre un rapporto di amicizia e d’intesa di vedute politiche, sia negli anni del socialismo rivoluzionario, sia nei mesi febbrili dell’interventismo (secondo il Dizionario di politica del Pnf, fu proprio Corridoni a dare a Mussolini per la prima volta l’appellativo di «duce»). Così Mussolini rievocò la memoria del sindacalista nel discorso funebre pubblicato sul Popolo d’Italia: «Egli era un nomade della vita, un pellegrino che portava nella sua bisaccia poco pane e moltissimi sogni e camminava così, nella sua tempestosa giovinezza, combattendo e prodigandosi, senza chiedere nulla. Leviamoci un momento dalle bassure della vita parlamentare; allontaniamoci da questo spettacolo mediocre e sconfortante; andiamo altrove col nostro pensiero che non dimentica; portiamo altrove il nostro cuore, le nostre angosce segrete, le nostre speranze superbe, e inchiniamoci sulla pietra che, nella desolazione dell’Altipiano di Trieste, segnò il luogo dove Filippo Corridoni cadde in un tumulto e in una rievocazione di vittoria».
Valerio Benedetti

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