Roma, 14 set – Il giornalismo negli ultimi decenni è passato purtroppo da attività nobile di ricerca della verità (specialmente se scomoda), ad un qualcosa di spesso subdolo e totalmente chino alla volontà dei potenti e del messaggio mainstream. Ma nel periodo glorioso del giornalismo una figura totalmente assurda e geniale ha ribaltato tutti i canoni di questo lavoro, facendolo diventare quasi un’arte a sé: stiamo parlando dell’inventore del cosiddetto giornalismo gonzo, vale a dire Hunter S. Thompson.
Hunter S. Thompson, una vita di stramberie
Thompson, che in Italia è conosciuto soprattutto per la trasposizione cinematografica del suo Paura e delirio a Las Vegas (Fear and Loathing in Las Vegas, in originale), con Johnny Depp (suo grande amico nella realtà) nella parte dello scrittore e con l’ex Monty Python Terry Gilliam alla regia, nasce nel 1937 in una famiglia della classe media di Lousville, nel Kentucky.
Appassionato di sport e scrittura, non riesce però a conseguire la laurea, dal momento che viene espulso dall’università in seguito all’incarcerazione dovuta alla partecipazione ad un furto d’auto. Passa quindi alcuni anni nell’aeronautica militare statunitense, prima di dedicarsi definitivamente al giornalismo. Inizia quindi a scrivere articoli sportivi per diverse riviste, tra le quali la prestigiosa Rolling Stone. Ben presto però emerge il suo stile personale e innovativo, che non poteva restare ingabbiato nella forma dell’articolo, stile che era alimentato da altre sue grandi passioni: lo smodato uso di alcol e droghe di ogni tipo e l’uso delle armi da fuoco! Diventa quindi il maggior esponente del gonzo journalism (gonzo è un termine nato a Boston per indicare l’ultimo sopravvissuto all’alba dopo una notte di folli libagioni), secondo il quale il giornalismo, per raccontare la verità, non deve essere necessariamente oggettivo, quindi i fatti personali possono essere inseriti negli articoli, ottenendo la stessa importanza della narrazione principale.
Fama e suicidio
Il successo per Thompson arriva nel 1967 con il suo libro d’esordio, Hell’s Angels, che racconta del suo anno trascorso a fianco dei membri di San Francisco e Oakland del famigerato club motociclistico. Se ne allontanò poi quando venne picchiato da alcuni membri della gang, ma rimase sempre legato al fondatore Sonny Barger. Nel 1970 ebbe poi l’illuminata idea di candidarsi come indipendente alla carica di sceriffo della conte di Aspen, sfidando il candidato democratico uscente. Il suo programma era un misto di populismo e libertarismo a favore di armi e droghe e Hunter si presentava ai comizi sempre ubriaco, con in mano una confezione da sei lattine di birra. Ciononostante, pur uscendo sconfitto, prese più del 38% delle preferenze totali.
Nel 1971 arriva la definitiva consacrazione con Paura e disgusto a Las Vegas (al cinema in Italia, come detto, “disgusto” diverrà “delirio”), che racconta la folle avventura lisergica di Raoul Duke (lo stesso Hunter) e del suo altrettanto fulminato avvocato Dr. Gonzo (Oscar Zeta Acosta) mandati da Rolling Stone a Las Vegas per seguire una corsa automobilistica nel deserto. Inutile dire che la corsa non la vedranno mai, in compenso i racconti delle loro follie diventeranno il fulcro degli articoli prima e del libro poi. Altra caratteristica di Thompson, che emerge da questo libro, è poi quella di raccontare con tono assolutamente normale accadimenti che definire deliranti sarebbe riduttivo, spiazzando in questo modo il lettore.
Da allora continuò a scrivere libri e approfondimenti (celebre la sua rubrica sulla rivista Playboy), fino al 20 febbraio 2005, quando all’interno della sua dimora di Woody Creek, nel Colorado, decise di porre fine alla sua vita sparandosi un colpo in testa. Il suo corpo venne ritrovato dal figlio insieme ad un biglietto d’addio destinato alla moglie, intitolato La stagione del football è finita. Nel testo, utilizzando la metafora della recente fine della stagione del football americano, lo scrittore scrive che ormai si era annoiato e di aver vissuto 17 anni più di quelli di cui aveva bisogno, una volta compiuti i 50 anni. Purtroppo decenni di abusi vari avevano ormai compromesso la sua mente, facendolo da tempo sprofondare in una profonda depressione, ma il suo ricordo resta più vivido che mai nei suoi scritti, vere e proprie lezioni di giornalismo libero e indipendente.
Roberto Johnny Bresso