Home » La strana dittatura fascista che cadde con un voto

La strana dittatura fascista che cadde con un voto

by Stelio Fergola
0 commento
dittatura fascista voto

Roma, 25 lug – Secondo Renzo De Felice il fascismo non fu mai un totalitarismo compiuto, quanto meno non come avvenne nella Germania nazista o nell’Urss stalinista (ma mi permetterei di aggiungere, nell’Urss in generale, il cui approccio totalitario alla vita comune non smise mai di esistere, se non con l’avvento di Mikhail Gorbaciov). Opinione del resto condivisa da Hannah Arendt, che lo limitava addirittirua a una forma di semplice dittatura nazionalista. Ovviamente, il percorso non è così netto, perché le ambizioni totalitarie del regime non sono certamente un mistero e non si può negare che, quanto meno dopo la proclamazione dell’impero nel 1936, esse fossero diventate più consistenti.

Questo per due motivi: il primo è il consenso ormai pressoché unanime della popolazione (“tutta l’Italia fu fascista dopo il 1936″, come ricordava spesso anche Indro Montanelli), e il secondo la gradualità che caratterizzava il fascismo stesso come ideologia e come ideale di trasformazione della Nazione italiana in proiezione futura (dalla formazione degli italiani nuovi alla stesso enorme progetto corporativo che inizia a fare i primi passi, seppur in via del tutto formale, nel 1939, dopo altri piccoli già avvenuti nel 1930 con il Consiglio nazionale delle corporazioni). Questa lunga premessa vuole semplicemente gettare le basi per concentrarsi sul modo in cui questo “totalitarismo imperfetto”, potenziale o “in crescita” che dir si voglia ha poi posto fine alla sua esistenza. Non con un “colpo di Stato fisico” per così dire, con l’occupazione di un palazzo governativo o con una rivolta delle forze dell’ordine alle dipendenze della nuova minoranza al potere, ma con un banalissimo – ancorché drammatico – voto. A cui è seguito un colpo di Stato vero. Ma in un certo senso, anche se nessuno dei protagonisti se ne stava accorgendo in tempo reale, la fine della dittatura fascista fu votata, sebbbene in un un gruppo ristretto di persone. Letta così, non potrebbe non generare un paradosso in chiunque la recepisca di primo acchito.

La dittatura fascista che cadde con un voto

Se l’Ordine del Giorno Grandi non fu un vero e proprio colpo di Stato, dal momento che chi lo promosse non aveva esattamente l’intenzione di far cadere il fascismo, certamente lo fu ciò che avvenne dopo, ovvero l’ordine di Vittorio Emanuele III di far arrestare Benito Mussolini dopo le sue dimissioni da capo del governo. I due processi, in qualche maniera, sono comunque consequenziali. Il “non colpo di Stato” di Grandi si trasforma nel colpo di Stato del Re e del suo nuovo “nominato” Pietro Badoglio. Che il fascismo sia caduto non solo come potere costituito ma anche come fenomeno politico e culturale di durata pluridecennale a quel punto è ormai chiaro. Basti vedere come il 9 agosto, appena due settimane dopo, con regio decreto, il nuovo governo sopprima lo stesso Consiglio nazionale delle corporazioni sopracitato. C’è una fretta nel liquidare tutto e subito che non lascia spazio ad altre interpretazioni.

Ma la fragilità con cui tutto ciò si verifica non può non lasciare perplessi e far ritornare quasi automaticamente sulle riflessioni degli storici, degli studiosi e perfino dei giornalisti. Un sistema indubbiamente autoritario e formalmente dittatoriale che cadeva con l’espressione di una votazione nel Gran Consiglio del Fascismo, talmente fragile che il monarca costituito ci “si infila” senza troppi convenevoli per destituirne il capo e le istituzioni.

Imperfetta?

La certezza assoluta è che gli antifascisti erano pochissime eccezioni prima dello scoppio della guerra. Non aiutò certamente nel loro ulteriore ridimensionamento l’inciampo avvenuto cone le leggi razziali del 1938, le quali trasformarono una minoranza esigua ma  enormemente patriottica come quella ebraica italiana (peraltro, attivissima nella fondazione dei fasci nel 1919), in una èlite che da 80 anni è apertamente ostile alla Nazione. E diedero una mazzata definitiva, chiaramente, i disastri militari successivi. Ma gli antifascisti restano una minoranza nettissima anche a fascismo caduto, come rilevano i resoconti di Giorgio Pisanrò nel merito (Storia della guerra civile in Italia 1943-1945).

Il popolo non si oppose perché non si oppone mai, storicamente, e non è mai decisivo nei cambiamenti, che nella storia vengono sempre operati dalle minoranze con cui esso al massimo manifesta semplicemente appoggio o meno. In quel caso, poi, il popolo era molto più concentrato sulla fine della guerra, una storia che non si è vista solo in Italia ma anche in altre realtà (si pensi all’esperienza bolscevica e alla caduta degli zar in Russia nel 1917: i russi stremati e desiderosi solo la fine delle ostilità sono il primo fattore della caduta della monarchia, esattamente come lo sono gli italiani sfiniti per la caduta del fascismo nel 1943).

Insomma, il 25 luglio 1943 finiva la dittatuta fascista, in primis con un voto e in secondo luogo con un colpo di Stato, ma questa dittatura non aveva avuto granché bisogno e interesse di esercitare il suo potere dittatoriale nel corso dei decenni (è sintomatico che la stessa storiografia “mediatica” antifascista continui a parlare quasi esclusivamente di Giacomo Matteotti, peraltro assassinato prima che il fascismo diventasse regime, mettendo semplicemente in ordine le questioni). Lo esercita così poco da permettere perfino a Benedetto Croce di esternare le critiche al regime come se si vivesse in una democrazia liberale qualsiasi. E quel Gran Consiglio che, come in una democrazia liberale qualsiasi, licenzia il proprio Duce, non può che rafforzare la sensazione nel merito.

Stelio Fergola

 

You may also like

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati