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L’Italia dice no alla cittadinanza facile. Ora parliamo di remigrazione

by La Redazione
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Roma, 9 giu – Non è solo un’affluenza ferma appena al 30% a segnare il tracollo della sinistra posticcia a trazione Landini-Schlein. È l’umiliazione subita proprio sul terreno che doveva esserle più favorevole: la cittadinanza agli immigrati.

Il referendum sulla cittadinanza è un flop nel flop

Dei pochi che si sono recati alle urne, più di un terzo ha votato NO. Una batosta sonora, inaspettata, che rappresenta forse la più grande debacle elettorale degli ultimi anni per il fronte immigrazionista. Il quesito era chiaro, quasi didattico: abolire la norma che impone almeno dieci anni di permanenza in Italia prima di ottenere la cittadinanza, portandola a soli cinque. Una proposta scandalosa, che puntava a trasformare la cittadinanza italiana – millenaria eredità di cultura, storia, sangue – in un bollino amministrativo da distribuire in serie. Ebbene, anche tra i pochi votanti (di un elettorato in gran parte orientato a sinistra), il 35% ha detto NO. Il che vuol dire che in una consultazione davvero partecipata, la proposta sarebbe stata travolta.

Un confronto impietoso

Il confronto con gli altri quattro quesiti referendari, quelli sul lavoro, è impietoso: lì i sì sfiorano l’88%. Sulla cittadinanza si fermano a un misero 65%, con un crollo verticale di venti punti. Non una sfumatura: uno schiaffo. Non una sfiducia: un rigetto totale. La mappa del voto, poi, è un altro campanello d’allarme per le élite progressiste. A Milano, Torino e Napoli – città già trasformate in laboratori multiculturali senza identità – il sì ha superato il 70%. Ma bastava allontanarsi dai quartieri radical chic per incontrare un’altra Italia. Nelle valli dell’Alto Adige, nei comuni medi e piccoli, nei territori dove la Patria è ancora parola viva, sono i NO a dominare.

La cittadinanza si è rivelato un boomerang

E dire che proprio questo referendum doveva essere il “cavallo di Troia” per mobilitare l’elettorato: la sinistra ci credeva, puntava tutto sul cavallo dell’emozione, della narrativa lacrimosa, del “povero ragazzo nato qui che non è ancora italiano”. Hanno perso, male. E sono stati sconfitti non solo nei numeri, ma nel cuore del loro progetto ideologico. È ora che un fronte politico reale, militante e identitario, quello che non si piega al lessico dei diritti usa e getta, raccolga questa indicazione storica. Il popolo italiano, anche nel suo silenzio, ha parlato. E ha detto no alla cittadinanza facile. Ma ora bisogna andare oltre: non basta difendere le regole attuali, già troppo permissive. È il momento di rilanciare la parola che nessuno ha il coraggio di pronunciare: remigrazione.

È tempo di remigrazione?

Sì, è tempo di cominciare a riportare a casa chi non condivide la nostra cultura, chi rifiuta di integrarsi, chi vive in Italia solo per sfruttarne le risorse. Non per odio, ma per giustizia. Non per vendetta, ma per ordine. Non per razzismo, ma per sopravvivenza nazionale. Questo referendum potrebbe essere uno spartiacque. E l’onda non deve fermarsi qui. La cittadinanza non è un diritto universale, ma un onore che va conquistato. E se la sinistra non è nemmeno più capace di difendere questa menzogna, allora tocca a noi scrivere il futuro. Con coraggio. Con visione. E con identità.

Vincenzo Monti

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