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Porsi fuori dalla democrazia per recuperare la complessità 

by La Redazione
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Roma, 16 nov – Chi asserisce che la democrazia sia la miglior forma di governo possibile, in nessun ambito, salvo quello del governo dello stato (che è però il più importante) la contempla veramente.

La democrazia non esiste dove serve

Esiste al mondo qualcuno che sostenga che le decisioni concernenti un’azienda si possano prendere democraticamente, ascoltando il parere di ciascun dipendente, e prendendo la decisione che il maggior numero di questi ha votato, a prescindere se corrisponda a verità? Forse solo i comunisti ritenevano giusto e realizzabile che le aziende si gestissero collettivamente e dal basso, eppure, dovunque il comunismo si sia attuato, le cose sono andate in modo leggermente diverso, per usare un eufemismo. Vi è al mondo qualcuno dotato di un’intelligenza media che affiderebbe ad un delegato il proprio lavoro e il proprio guadagno, fiducioso che questi farà di tutto per assicurare il suo interesse, senza neanche il minimo intento di sfruttare l’opportunità per tornaconto personale? Esiste qualcuno dotato di raziocinio che darebbe i suoi soldi ad un commerciante con la promessa di una merce di cui non ha verificato l’esistenza? Alla luce di questi semplici interrogativi, la cosa più sconvolgente da constatare è che nel mondo moderno ciò che realmente conta, ovvero i principi, le regole, la dimensione comunitaria della Patria, tutte cose che, differentemente da quelle materiali, sono eterne, imperiture e immodificabili, siano le uniche affidate alla “democrazia”.

La deresponsabilizzazione della democrazia

Cos’è infatti un parlamentare se non un delegato che ottiene un guadagno sulla base di promesse non tangibili? Cosa sono le campagne elettorali se non uno spettacolo di bassa lega nel quale vien premiato chi sa vendere la propria merce meglio, usando qualsiasi espediente retorico e qualsiasi talento abbia a disposizione? E proprio il pubblico che si nutre di questi parolai è fatto da uomini che mai affiderebbero le scelte economiche ad incantatori di serpenti e a personalità simili a demagoghi. Chi asserisce, ad esempio, che la verità sia un concetto relativo, porzionabile e opinabile, asserirebbe mai che disporre di oro o di argento al fine di guadagnare sia uguale? Chi asserisce che il maschile e il femminile siano concetti retrogradi, infondati e frutto di mere convenzioni sociali, avrebbe il coraggio di ricorrere ad un pensiero simile in relazione all’acquisto di un gioiello, senza porsi il problema dell’autenticità di questo? Chi crede che le abilità, l’ingegno, il sangue, la memoria e tutti i principi che quotidianamente vengono calpestati dalla sovversione non esistano, sarebbe del medesimo avviso se di queste avesse bisogno per giungere al proprio tornaconto personale? Il tanto osannato dal coro progressista “maschio debole”, è sempre osannato? Le donne che ricorrono alla fecondazione artificiale per concepire un bambino, in quanto strenue sostenitrici della teoria secondo la quale per generare e crescere un bambino non sia necessaria l’unità complementare tra uomo e donna, quando devono selezionare il seme che feconderà il proprio ovulo, guarda caso, scelgono sempre uomini su catalogo le cui caratteristiche genetiche sono demonizzate dalla propaganda femminista. Appena, quindi, si accingono a realizzare il proprio sogno di “acquistare” un figlio, subito scoprono che le differenze esistono. Medesimo discorso vale per le coppie gay che quando devono scegliere l’ovulo della donna da fecondare grande attenzione prestano alle qualità etniche e genetiche di questa. Quanto fin qui descritto è certamente utile a squarciare il velo di menzogna e ipocrisia dei marxisti, dei liberals e di tutti gli agenti dell’odio e della sovversione; ma, cosa ancor più importante, ci aiuta anche a vedere i loro atteggiamenti come più coerenti, nel male, logicamente, di quanto si possa credere. I loro assiomi incoerenti e costantemente contraddittori in certi casi segnalano la follia e lo scarso ingegno di chi li propaga, ma anche la reale natura di chi muove i fili.

Criticare la democrazia oltre gli slogan

Quelli che stanno in alto sanno bene che al mondo tutti sono diversi e che il presupposto stesso dell’identità nelle sue varie forme è la differenziazione gerarchica. Quello che da questi è rifiutato è l’ideale di giustizia e di sacralità che domina tutti i fenomeni materiali del divenire. Ogni essere tende ad operare sulla base di quella che è la sua natura, visto che è dalla natura che nascono le aspirazioni. I promotori del relativismo culturale sono i più eminenti esponenti di un tipo umano in cui il bene, inteso come conoscenza, cosmos e luce, è totalmente assente, per cui ogni loro intento li muove al fine di creare un mondo in cui a dominare sia l’abisso della materialità da cui trarre delle controgerarchie utili a far emergere chi è più capace nell’accumulo di beni materiali. Perché tale scenario prevalga essi sono consci della necessità di avere gente a loro sottoposta plasmata secondo questi schemi e, consapevoli allo stesso modo, che nelle grandi masse qualche principio sano permanga, ricorrono a tutti gli strumenti in loro possesso per corrompere, consci del fatto che per poter conseguire il proprio risultato devono mascherare le loro reali intenzioni, per cui dietro a termini altisonanti e del tutto privati del loro reale significato quali libertà , scelta, amore, etc, riescono ad avere un effetto sulle masse, anche quando queste, come spesso succede negli ultimi tempi, non li seguono più, dato che in cerca di alternative altro non fanno che accrescere le fasce di dissenso nelle modalità che il sistema di potere attuale stabilisce. In fin dei conti, quindi, non deve stupire che vi sia chi crede di stare esercitando sovranità quando va a votare oppure se decide di non farlo e contestualmente rivendica come suo diritto le lamentele fini a se stesse. E se per uno studente inconsapevole, schierato a sinistra, che crede di essere ribelle, da buon seguace di gente astuta che ha creato la maschera idonea a ciascun soggetto, al fine di tenere ognuno prigioniero, si deve provar pietà, medesimo discorso vale per chi crede di essere alternativo semplicemente inseguendo i temi che il nemico propone lui, senza minimamente provare a rivoluzionare lo status quo, senza minimamente immaginare che non è il sintomo su cui ci si deve concentrare, bensì sulla malattia. Se un buon medico porta il proprio paziente nella direzione giusta per curare la propria malattia, un banale mercante di farmaci ha semplicemente interesse a vendere il prodotto che porti al guadagno maggiore, quindi spesso il più scadente possibile. E nell’epoca in cui i più sono esortati a nutrire i propri vizi peggiori, a dover soddisfare il proprio ego smodato, tra la via più ardua e quella più facile, quasi tutti si fanno venditori e acquirenti della via più comoda.

Porsi le domande più difficili

Se, al fine di distruggere le catene che tengono schiavi gli europei, la via da percorrere deve essere quella di ricostruire uomini nuovi, di fornire loro un preciso modello culturale, etico e lavorativo all’insegna della tradizione e in grado di svilupparsi sulla base delle dinamiche contemporanee, è altrettanto vero che imboccare questa direzione richiede una fatica e degli sforzi tali che la generalità degli uomini che per certi fenomeni moderni provano repulsione tenderà a far proprio ciò che è più accattivante, ovvero il semplice slogan. Di fronte al propagarsi dei morbi quali l’ideologia di genere, le cosiddette famiglie omogenitoriali, (termine, ovviamente, totalmente insensato) il calo demografico, cosa richiede maggiore tenacia e impegno? Limitarsi a denunciare tali fenomeni, parlandone all’infinito, quindi, dando implicitamente ragione all’avversario che vuol fare credere che i suoi propositi siano rilevanti e auspicati a livello generale, oppure sforzarsi di elaborare delle soluzioni che portino a valorizzare le differenze sessuali tra uomo e donna nel nuovo millennio e il concetto di famiglia, al di là delle prospettive borghesi degli anni ’50 e ’60, che, proprio nell’essere già di per se sovversive se paragonate alla millenaria tradizione europea in cui famiglia, patria e stirpe allargata erano di fatto un tutt’uno dinamico e pulsante, hanno spianato la strada al baratro che vediamo oggi intorno a noi? Per riassumere il tutto, ciò che va tenuto a mente è che per combattere il mondo moderno, per cavalcare la Tigre, per ergersi sulle rovine, per mettere in atto tutti i meccanismi che aiutino un processo sociale e politico atto a compiere la rivoluzione, proseguendo il cammino iniziato lo scorso secolo, dunque trasformando la sconfitta del 1945 in una nuova vittoria per l’Europa, bisogna recuperare il senso del Reale nella dimensione spirituale e interrogarsi costantemente su come il nemico agisce, su quali fendenti lancia. In un’era in cui la contraddittorietà, il torbido e la mancanza di chiarezza sono le caratteristiche predominanti, in quanto sono queste le uniche modalità che portano nocumento ai mercanti, noi torniamo alla sfida e alla complessità. Ogni giorno richiamiamo alla mente ciò per cui combattiamo, ponendoci costantemente le domande con cui abbiamo trattato i temi qui affrontati, perché nulla può essere rifilato a uomini allenati a porsi le domande più difficili e ad interrogarsi su quesiti oggi considerati folli, ma che altro non sono che il pane quotidiano per la vera civiltà europea aristocratica ed eroica.

Ferdinando Viola

 

 

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