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Previdenza sociale: i quarantenni precari andranno in pensione a 73 anni?

by Salvatore Recupero
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Roma, 21 lug – I pilastri su cui, fino ad oggi, si era basata la previdenza sociale cominciano a scricchiolare. Il combinato disposto tra flessibilità (che comporta un versamento di contributi meno regolare) e le riforme che hanno introdotto un sistema puramente contributivo (Dini, Fornero) causerà gravi danni alle nuove generazioni. Molti quarantenni di oggi rischiano di vedere la pensione non prima dei 73 anni. A lanciare l’allarme è stata la Cgil, riferendosi soprattutto a chi ha cominciato a lavorare dopo il 1996 e dunque vede il proprio assegno calcolato integralmente con il metodo contributivo.

Sistema retributivo o contributivo?

Prima di entrare nel merito della questione è utile spiegare in maniera più dettagliata il criterio secondo cui viene calcolata la pensione. Il sistema retributivo si applica alle “anzianità” contributive maturate fino al 31 dicembre 2011 dai lavoratori con almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995. In questo caso l‘assegno pensionistico è rapportato alla media delle retribuzioni (o redditi per i lavoratori autonomi) degli ultimi anni lavorativi. Il retributivo per essere economicamente sostenibile ha bisogno di tanti lavoratori giovani che hanno una stabile regolarità contributiva.

Negli anni novanta, la flessibilità del lavoro unita all’invecchiamento della popolazione ha portato al sistema contributivo. Con questo meccanismo di calcolo la pensione viene erogata sulla base del capitale che il lavoratore ha accumulato nel corso degli anni lavorativi (montante individuale). Bisogna dire che il passaggio è stato graduale: per diversi anni la previdenza sociale si è basata su un sistema misto (una quota con il sistema retributivo e una quota con il sistema contributivo). Ovviamente, quanto detto non pretende di essere esaustivo ma serve a far capire la ratio che sta alla base di questi due sistemi di calcolo. Torniamo ora al grido d’allarme di Maurizio Landini.

Un lavoratore in balia della flessibilità diventerà un pensionato povero

Chi ha cominciato a lavorare dopo il 1996 (con un assegno calcolato integralmente con il metodo contributivo) rischia di percepire tardi una pensione da fame. Questa situazione riguarderà soprattutto chi ha avuto un lavoro saltuario e scarsamente remunerato, specie se part time. Ezio Cigna, esperto di welfare della Cgil, ci spiega che l’area “più critica, è senz’altro quella delle carriere discontinue con orario ridotto”. Ad esempio, secondo le simulazioni del sindacato, chi ha iniziato a lavorare nel 1996 a 24 anni con un salario annuo di 10 mila euro e un part time se ha avuto un “anno di buco ogni tre lavorati” si ritroverà ad avere pensioni così basse da uscire solo a 73 anni. Per Signa la previdenza sociale va riformata in maniera più incisiva. “Per noi- precisa l’esperto della Cgil- dovrebbero essere assicurati almeno mille euro a chi somma 66 anni di età e 42 di anzianità”. Inoltre, per il segretario del sindacato di Corso d’Italia, Maurizio Landini il sistema contributivo va corretto in quanto crea diseguaglianze non solo per l’aspettativa di vita ma anche per i contributi versati.

Il discorso sulla previdenza sociale rischia però di arenarsi se non si affronta il tema della natalità e della precarietà del lavoro dipendente. Bisogna investire in politiche attive capaci di invertire il trend demografico. Una nazione con le culle vuote è relegata ai margini della storia.

Infine non possiamo fare a meno di sottolineare che la previdenza sociale funziona solo se la popolazione in età lavorativa è in gran parte occupata in maniera stabile (versando i contributi all’Inps in maniera regolare). Pertanto, solo una politica economica che punta alla piena occupazione può garantire una vecchiaia serena a chi lascia ai giovani il proprio posto di lavoro.

Recupero Salvatore

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2 comments

Laura 22 Luglio 2019 - 2:14

Bravissimi, fate bene a lanciare questo grido d’allerme! anzi dovreste insistere e far capire l’abbisso concettulae ed economico che si subirà col passaggio da retributivo (uomo al centro del discorso) al retributivo (contributi/soldi al centro e uomo sacrificabile).
C’è un’enorme differenza fra i pensionati dell’epoca e gli attuali e fututi che subiranno il dominico dei bilanci a posto/metodo contributivo e tutto questo per entrare nell’euro-pa dei banchieri globalisti/liberisti.
Come può l’occidente civile e colto regredire in così poco tempo (dall’euro in poi) mettendo i bilanci ed il confronto costi/ricavi come primo e unico parametro che si persegue, il resto è meno importante!!! ci rendiamo conto???
prima andavi in pensione con più o meno lo stesso importo (poco meno per via della media, ndr) degli ultimi stipendi percepiti (con qualsiasi montante contributivo) e questo perché si voleva dare dignità all’UOMO che in vecchiaia poteva regolarsi come faceva in età lavorativa
oggi ci sarà un baratro (anche del 50%!!!!) fra gli ultimi stipendi percepiti e la prima pensione!!!! e questo sapendo che chi va in pensione è vecchio e quindi meno capace di porvi rimedio, somiglia più ad una GIUNGLA appena ammorbidita (o meglio nascosta) che ad una CIVILTA’. Si torni al retributivo, alla faccia dei monetaristi/liberisti/lobbisti di bruxselles, si torni a pensare ad una Civiltà con l’uomo posto al centro delle attenzioni, chi avrà il coraggio di farlo, vincerà le elezioni per trent’anni almeno!

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Giuseppe 23 Luglio 2019 - 10:23

Giuseppe, giusto, fa comodo non versare i contributi, non lavorare, farsi mantenere dai genitori, i giovani oggi già sono in pensione e se la godono, poi cominciano a piangere perché fa comodo andare all’estero a lavorare, guadagnare di più e non pagare tasse e contributi! Tutto a 40 anni! È ora che si abbassano anche a mungere le vacche e prendono 25000 euro al mese più i contributi pagati dal datore di lavoro! Vedi gli indiani, poi vengono criticati, perché hanno auto nuove ecc… Andate voi al posto degli indiani! Lazzaroni!!!!

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