Roma, 10 gen – Alle prime luci dell’alba del 10 gennaio del 49 a.C, dopo aver raggiunto le coorti presso il fiume Rubicone, Gaio Giulio Cesare varca il pomerium, il confine sacro dell’Urbe che mai prima di allora era stato attraversato da un uomo in armi. Ma cosa spinse il futuro dittatore a compiere un’azione così ardita?
Il Senato della Repubblica e Pompeo, storico avversario di Cesare, temevano la figura del soldato. Cesare continuava ad ottenere successi e a piegare il mondo sotto il volere di Roma conquistando territori e garantendosi uno straordinario appoggio delle truppe. Chiese a più riprese di essere riconosciuto come console per un secondo mandato, richiesta che il Senato respinse al mittente in quanto preoccupato per l’evolversi della situazione e per il crescente consenso che trovava. Cesare cercò allora un compromesso e garantì di sciogliere il suo esercito solo se anche quello di Pompeo fosse stato sciolto. Il Senato e i maggiori uomini illustri di Roma erano fermamente contrari ad una presa di potere del generale ed iniziarono, anzi, ad accusarlo di sovversione e gli misero contro la cittadinanza romana minacciandolo di etichettarlo come “nemico dello stato”.
Cesare si sentì profondamente umiliato dopo tale risposta, sapeva che, una volta entrato a Roma, senza l’appoggio del suo esercito e senza la regalità politica non avrebbe avuto scampo e sarebbe caduto nelle mani del Senato che l’avrebbe schiacciato come un granello di sabbia. Tentò così il tutto e per tutto, garantì lo scioglimento dell’esercito eccetto di quelle legioni che gli garantivano il controllo delle zone conquistate. Il Senato non rispose al suo appello. Fu allora che Cesare con i suoi 5.000 uomini varcò il Rubicone, il pomerium, il “confine sacro”, quell’antico solco che Romolo aveva scavato e che aveva santificato come “zona franca” assoluta da ogni tipo di violenza (a dire il vero il solco scavato da Romolo era all’incirca corrispondente al “centro storico” della capitale, il fiume romagnolo divenne “confine sacro” con il continuo ampliamento delle conquiste di Roma).
“Eatur quo deorum ostenta et iniquitas inimicorum vocat. Alea iacta est” (“Si vada dove i prodigi degli dei e la malvagità dei nemici ci chiama. Il dado è tratto”): queste le celebri parole che il condottiero avrebbe pronunciato prima di oltrepassare il corso d’acqua. Una volta pestato il suolo all’interno del limes romano con mano armata, non ci si poteva più tirare indietro. Del resto Cesare sapeva benissimo che il Rubicone era uno spartiacque tra il “prima” ed il “dopo”, una strada a senso unico dalla quale non si poteva tornare, solo proseguire e solo alla fine si sarebbe potuto constatare se la meta ultima fosse la vittoria o la sconfitta.
L’attraversamento del Rubicone, come tramandano le fonti antiche, è accompagnato da un’aura mistica. Svetonio ci racconta che ad un tratto apparve, in una visione a Cesare, un uomo di straordinaria forma fisica e bellezza seduto poco distante che suonava il flauto: per ascoltarlo erano arrivati, oltre ai pastori, anche moltissimi soldati dai posti di guardia. Tra esse anche dei trombettieri e, presa la tromba ad uno di questi, l’uomo si precipitò al fiume e andò verso l’altra riva invitando i soldati a fare lo stesso. Il confine, insomma, è un aspetto sacro della civitas romana, intangibile e venerabile, da rispettare sia in tempo di pace sia, a maggior ragione, in tempo di guerra.
Pompeo, venuto a sapere che il suo rivale marciava verso l’Urbe, si precipitò a Brindisi in una disperata fuga che, se vogliamo, può essere paragonata a quella del re d’Italia dopo l’8 settembre. Roma resta senza un leader per quanto poco carismatico potesse essere Pompeo (come ci racconta sempre Svetonio) e Cesare riesce, in maniera alquanto semplice, ad ottenere il potere e accentrarlo nelle sue mani. Non solo il potere, ma anche l’appoggio di un popolo che si era sentita tradito e abbandonato e che necessitava di una figura stabile al governo di un così potente impero con una così debole classe dirigente.
Tommaso Lunardi
La prima marcia su Roma: il 10 gennaio Cesare varca il Rubicone
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4 comments
La storia spesso ci insegna che ci vuole coraggio e che tante volte chi ci governa fa il male del popolo e della patria,poichè quasi sempre i pavidi e i traditori si travestono da moderati e pontificano della loro presunta capacità………ci vorrebbe un ‘cesare’ , un uomo o una donna di spessore che possa ripulire la fogna in cui ci hanno portato e ripulire la cloaca italiota…….ho un unico dubbio……partire dall’alto o dal basso?
Semper Fidelis !
…Romolo non c’entra con il confine tra l’Italia e la Gallia Cisalpina… la citazione esatta sarebbe “Iacta alea est”… la ricostruzione è una vulgata di Svetonio e non tiene conto di Plutarco… comunque, bel tentativo
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