È giusto preoccuparsene e cercare di prevenire le tragedie. Altro, però, è credere che esista una sorta di centrale globale che, scientemente e mefistofelicamente, prende per mano i ragazzi grazie ai social network e li conduce alla morte. La struttura del “vero” Blue Whale, ammesso che sia mai esistito veramente, prevede la presenza di un “curatore”, cioè una persona che contatti l’aspirante suicida e gli detti le istruzioni per portarlo alla morte. Le famose 50 regole che si trovano on line, infatti, sono piuttosto generiche, è impossibile seguirle da soli. Si parla di video e musiche da assimilare, ma non si dice quali siano (è il curatore, appunto, a segnalarle). La stessa esecuzione delle prove deve essere certificata dal curatore, il quale, infine, deve anche dare la data in cui darsi la morte. L’essenza del “gioco” è proprio data dall’affidarsi a una sorta di malvagio guru che dia ordini e imponga una sorta di nichilistica disciplina.
Insomma, niente curatore, niente Blue Whale. Autolesionismo e manie suicide, da sole, non configurano alcun Blue Whale, anche se non è escluso che adolescenti con dei disagi pregressi possano prendere ispirazione dalle “50 regole” per manifestare un malessere che tuttavia era già presente. Ora, si dà il caso che, finora, inquirenti e investigatori non abbiano trovato alcun riscontro concreto circa la presenza di eventuali curatori. Ci sono solo, quello sì, tanti ragazzi in cerca di un senso. E, purtroppo, molte mamme apprensive che non sanno darglielo.
Giorgio Nigra