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Il riscatto dei Millenials: la generazione disprezzata, sfruttata e sottopagata

by Mauro Pecchia
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millenials giovaniRoma, 11 ott – Giovani italiani “choosy”? Al massimo lo saranno alcuni ministri. Secondo la ricerca “Vita da Millennials: web, new media, startup e molto altro. Nuovi soggetti della ripresa italiana alla prova”, effettuata dal Censis sui ragazzi tra i 18 e i 35 anni, la generazione nata tra gli anni ’80 e il 2000 sarebbe più volenterosa, stacanovista e versatile di quella over 35.

Negli Stati Uniti li chiamano i “Millenials” e sono proprio quei giovani che i più tristi luoghi comuni descrivono come sfaticati e poco inclini a ricercare un lavoro. Dagli inizi del nuovo millennio la gioventù italiana ha subito un vero e proprio bombardamento mediatico, una discriminazione senza limiti, che ha trasmesso un senso di colpa nella mentalità del giovane italiano medio, il quale deve guardare al bravo immigrato come un esempio e un modello da imitare, mentre lui deve vergognarsi della propria condizione. Quale sarebbe la colpa dei millenials secondo la cultura progressista e mondialista? Essere nati in Occidente, da una famiglia autoctona e magari di ceto medio. Come se il benessere che la società europea si è conquistato attraverso scoperte, guerre e rivoluzioni sia una sorta di demerito, mentre quello di venire da un paese sottosviluppato equivalga ad essere necessariamente un bravo ed onesto (super)lavoratore.

I millenials: tutto tranne che sfaticati

Questa logica ha trascinato i nostri giovani a vivere in una condizione paradossale, a dover accettare la precarietà e lo sfruttamento con il sorriso sulla bocca, restando in ogni caso una categoria di “privilegiati”. Ebbene, secondo i rilevamenti dell’istituto di statistica sono 2,3 milioni i Millenials che svolgono un lavoro di livello inferiore alla propria qualifica (sono il 46,7% di quelli che lavorano, rispetto al 21,3% dei “Baby boomers” di 35-64 anni, quella dei loro padri e delle loro madri). Il 77% degli under 35 con un posto, parliamo quasi di 4 milioni di persone, lavora oltre l’orario di lavoro, contro il 60% della generazione Baby boomers. Il 58% lavora anche il weekend, il 22,7% la notte (contro il 17,3%). Sempre secondo la ricerca questi giovani sarebbero molto attivi anche sul fronte dell’imprenditorialità: un’impresa su dieci fa capo ai Millenials e le capitali dell’innovazione sono Roma, Milano e Torino.

Sicuramente uno dei vantaggi di questa generazione è anche l’abitudine all’utilizzo della dei nuovi strumenti offerti dalla tecnologia, quella che hanno cominciato a masticare sin da piccoli, quando ancora non era un elemento indispensabile nella società, e che adesso è il pilastro e il simbolo della nostra epoca.

Ad ogni modo, quella dell’attuale generazione giovane, è una condizione che spesso è stata strumentalizzata e volutamente male interpretata dai media e dalla classe intellettuale odierna, preferendo usarla come bandiera anti-italiana per dimostrare che la nostra nazione ha più bisogno di stranieri che di italiani. Tutto ciò ha generato un vero e proprio cancro sociale, un tumore che sta mietendo sempre più vittime, producendo emigrazione, sfruttamento, flessibilità e precariato.

Mauro Pecchia

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