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Una “seconda patria”: Giuseppe Garibaldi e la Sardegna

by La Redazione
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Roma, 31 mar – Dagli anni ’30 dell’Ottocento la Sardegna visse un clima di deciso risveglio culturale e politico, con intellettuali come Giovanni Siotto Pintor, Giuseppe Manno, Pasquale Tola, Vittorio Angius e Giovanni Spano. Videro la luce numerosi giornali a Sassari e soprattutto a Cagliari e nuovi circoli culturali a Sassari e Alghero. Il pieno inserimento della Sardegna nel Risorgimento nazionale avvenne con la Fusione perfetta del novembre 1847, quando una delegazione di rappresentanti dei tre Stamenti o rami del Parlamento Sardo ottenne da Re Carlo Alberto di Savoia l’unione costituzionale e giuridica tra le province di terraferma e l’Isola. Nel 1848 venne promulgato lo Statuto albertino e le elezioni politiche del 17 aprile consentirono l’ingresso nel Parlamento subalpino di Torino di 24 deputati sardi. Nello stesso anno si ebbero le prime manifestazioni universitarie a Cagliari a sostegno dei moti scoppiati in tutta Italia. In Sardegna non era ancora entrato in vigore l’editto regio del 1837 sulla coscrizione obbligatoria, ma quando il Regno di Sardegna iniziò la Prima Guerra d’Indipendenza, 677 Sardi si arruolarono come volontari: contando anche i 515 Sardi militari di professione, erano 1.192 i Sardi mobilitati.

Dal Risorgimento ai Mille

Con la prima, grande esperienza del 1848 iniziava così il fenomeno del volontarismo risorgimentale sardo, vero e proprio preludio al legame che in seguito si sarebbe stretto tra l’Isola e Colui che più di tutti incarnò l’anima del patriottismo e del volontarismo italiani: Giuseppe Garibaldi. In realtà, già nelle fila della Legione italiana di Montevideo si annoveravano dei Sardi arruolatisi con l’Eroe dei Due Mondi: il cagliaritano Angelo Portoghese e i maddalenini Giovanni Battista Culiolo e Antonio Susini. Fu grazie a questi maddalenini che in seguito il Generale avrebbe conosciuto Caprera. Nella Seconda Guerra d’Indipendenza la mobilitazione fu ancor più imponente sia in Sardegna che nel resto d’Italia. Numerosi Sardi si arruolarono nei tre reggimenti dei Cacciatori delle Alpi di Giuseppe Garibaldi. Dalle Università di Sassari e Cagliari l’afflusso di volontari fu tale che le stesse rimasero chiuse per qualche tempo. Tra i volontari sardi si distinsero l’anziano Luigi Branca, partito volontario a 70 anni, e il maddalenino Niccolò Susini.

Per quanto concerne la presenza di Garibaldi a Caprera, bisogna premettere che prima del 1843 l’isola era demaniale e abitata soltanto da una decina di pastori maddalenini con le loro greggi. In quell’anno, i terreni demaniali dell’arcipelago furono privatizzati e Caprera fu divisa in 131 lotti da assegnare esclusivamente ai sudditi del Regno e ad alcuni stranieri domiciliati da tempo a La Maddalena. Garibaldi soggiornò per la prima volta nell’arcipelago maddalenino tra  il 25 settembre 1849 e il 23 ottobre 1849, rimanendo affascinato dalla pace e dalla tranquillità trovata nella vicina Caprera. Vi sarebbe tornato nel 1854 e definitivamente nel 1856, dopo aver acquistato vari appezzamenti di terreno per tramite del maddalenino Pietro Susini. Nello stesso anno portò a Caprera i figli avuti da Anita e dopo aver inizialmente ristrutturato e utilizzato un vecchio casolare, avviò la costruzione di quella che sarebbe stata chiamata la Casa bianca, per poi sviluppare un’azienda agricola. In seguito vissero a Caprera anche l’ultima moglie di Garibaldi, Francesca Armosino, e i figli che l’Eroe ebbe da questa. Ben presto Caprera si ritrovò divisa tra la proprietà di Garibaldi e quella di un inglese, Richard Forman Collins. Nel 1864, grazie a una sottoscrizione, Garibaldi ottenne le somme per acquistare dalla vedova di Collins la restante parte dell’isola e ne divenne l’unico padrone.

Tra i Mille di Garibaldi partiti il 5 maggio 1860 sulle navi Piemonte e Lombardo dallo scoglio di Quarto (Genova), erano presenti soltanto tre Sardi: il tempiese Francesco Grandi (già difensore della Repubblica Romana del 1849),  il cagliaritano Efisio Grumignano e il maddalenino Angelo Tarantini. Questo non autorizza tuttavia a sminuire il ruolo e il numero dei Sardi che parteciparono alla liberazione del Mezzogiorno d’Italia al seguito del Generale. Dal 24 maggio al 3 settembre 1860 arrivarono in Sicilia ben 40 spedizioni navali provenienti dai porti di Genova e Livorno, che sbarcarono circa 20.000 volontari garibaldini, che si andarono ad aggiungere ai quasi 30.000 Siciliani insorti sotto la guida di Francesco Crispi e Rosolino Pilo. Tra i volontari arrivati in Sicilia, fonti del consolato pontificio di Cagliari attestano che erano presenti molti cagliaritani. E’ altresì certo che molti altri volontari furono reclutati in tutta l’isola dal garibaldino Anastasio Sulliotti.

La Sardegna “patria adottiva”

Nei suoi ultimi anni di vita, l’Eroe dei due Mondi si prodigò per la promozione sociale e il benessere dei lavoratori italiani, mediante il supporto alle associazioni operaie e alle società di mutuo soccorso che proprio in quell’epoca cominciavano ad avere ampia diffusione. In particolare Garibaldi si interessò della Sardegna, che ormai considerava sua Patria adottiva soprattutto dopo la sciagurata cessione di Nizza alla Francia. Nel 1869, sul Giornale di agricoltura, industria e commercio del Regno d’Italia, venne reso pubblico un progetto, promosso da Garibaldi e dal conte Francesco Aventi sulla scorta di precedenti piani dell’avvocato Giovanni Sulliotti e del deputato Giorgio Asproni, di colonizzazione agricola interna della Sardegna mediante cessione gratuita di terreni ademprivili e costituzione di colonie agricole sperimentali. Lo spirito di questo progetto fu ripreso nel 1923 – a seguito di una legge del 1913 e di una fase progettuale iniziata nel 1918 – con l’avvio della bonifica agricola integrale di Arborea, della Nurra e di altri territori sardi (Castiadas, Pula, Siniscola, Siamaggiore e Buggerru).

Giuseppe Garibaldi chiuse per sempre i suoi occhi a Caprera il 2 giugno 1882. Il Generale avrebbe voluto essere cremato, ma contravvenendo alle sue ultime volontà il suo corpo venne imbalsamato e sepolto in una tomba di granito grezzo dietro la Casa bianca. Il Parlamento, con legge del 17 luglio 1890, dichiarò la tomba di Garibaldi a Caprera monumento nazionale. Nel sopralluogo governativo del 1891, si rilevò che nei nove anni trascorsi dalla morte del Generale l’isola si era rinselvatichita e le costruzioni e gli appezzamenti versavano in stato di abbandono. Oggi la Casa bianca, la tomba del Padre della Patria e le strutture circostanti, adeguatamente ristrutturate e divenute meta di pellegrinaggio di autorità statali e comuni cittadini, costituiscono il Compendio garibaldino di Caprera. L’intero arcipelago maddalenino è diventato riserva protetta nel 1992 e parco nazionale nel 1994. A breve distanza dalla Casa Bianca sorge il Forte Arbuticci, trasformato nel 2012 nel Memoriale Giuseppe Garibaldi, il primo museo in Italia interamente dedicato ad una figura storica. Il sistema museale di Caprera, comprendente il Compendio garibaldino e il Memoriale Giuseppe Garibaldi,  costituisce oggi una delle mete turistiche più frequentate d’Italia e senza dubbio uno dei luoghi più sacri dell’intera Nazione.

Carlo Altoviti

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Una "seconda patria": Giuseppe Garibaldi e la Sardegna | NUTesla | The Informant 1 Aprile 2019 - 7:05

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