Home » Simion scuote l’Est: identità, pragmatismo, rottura con Mosca. L’Europa cambia direzione?

Simion scuote l’Est: identità, pragmatismo, rottura con Mosca. L’Europa cambia direzione?

by La Redazione
0 commento
Simion

Roma, 6 mag – L’aria nuova che soffia da Est non è solo una scossa elettorale. È un messaggio politico. Con oltre il 40% al primo turno, George Simion, leader del partito AUR, si afferma come volto di una destra alternativa: radicata, identitaria, pragmatica e, soprattutto, libera. Libera dalle ambiguità con la Russia, libera dai compromessi globalisti, ma anche lontana dal moderatismo addomesticato di certa destra europea.

Simion, un super atlantista

Simion dialoga con Giorgia Meloni — questo è noto — ma non ne è l’imitatore. Piuttosto, ne incrocia la traiettoria sul terreno europeo dei Conservatori e Riformisti (ECR), puntando però a rappresentare una nuova spina dorsale dell’Est Europa. Romania, Polonia e Paesi baltici si profilano come avamposto di una destra che non ha più bisogno né di Parigi né di Mosca. Una destra nazionale, ma con respiro continentale. La presenza a Bucarest di uomini vicini a Trump, come Matt Schlapp e James Trainor, conferma che l’interesse americano verso un’Europa più assertiva e meno servile è reale. Nonostante venga spesso etichettato come filorusso da certa stampa occidentale, George Simion ha più volte smentito con chiarezza qualsiasi simpatia per il Cremlino, definendo i russi «dei criminali» e condannando senza esitazioni l’aggressione all’Ucraina. La sua posizione è schiettamente atlantista e ultra-favorevole a una NATO forte e alla cooperazione transatlantica, ma critica verso l’idea di un riarmo autonomo dell’UE, che considera superfluo e potenzialmente dannoso. Simion contesta apertamente la narrazione secondo cui ogni forza sovranista sarebbe automaticamente allineata con Mosca, denunciando quello che definisce un gioco ideologico utile solo a delegittimare l’opposizione identitaria. In realtà, la sua visione si fonda su un patriottismo pragmatico: nessun fanatismo ideologico, solo realismo e difesa degli interessi nazionali. Esattamente ciò che manca a molte classi dirigenti dell’UE.

Programma: meno burocrazia, più Romania

Sul piano interno, Simion propone reindustrializzazione, sfruttamento delle risorse naturali, semplificazione amministrativa e taglio delle tasse. Non slogan, ma un’agenda politica concreta che parte dal lavoro e finisce con la famiglia. Il motto scelto – “Rendere la Romania di nuovo grande” – non è un’imitazione di Trump, ma l’adattamento naturale di un sentimento di rivincita nazionale dopo anni di marginalizzazione. Non è un caso che i media occidentali lo descrivano con sospetto: lo accusano di attrarre estremisti, ma lui risponde difendendo con lucidità verità storiche («negare l’Olocausto è follia») e rivendicando il voto di un popolo che vuole cambiare. A sinistra, Victor Ponta resta nel limbo mediatico; al centro, l’elettorato di Antonescu potrebbe virare verso Simion. E intanto anche Anamaria Gavrilă, leader del partito Pot, dichiara il suo appoggio: «I rumeni non sono più spettatori. Ora costruiscono». Simion potrebbe essere l’ennesimo volto della destra “responsabile”: sicuramente non è amico dell’Est che fa il doppio gioco con Mosca. È, con ogni probabilità, la destra che in Europa mancava: popolare, sovrana, senza nostalgie imperiali né inchini alle cancellerie occidentali. Una destra che parla di interessi, non di ideologie. E che potrebbe aprire un nuovo capitolo per chi, in Europa, vuole cambiare davvero.

Una riflessione per la destra europea

In controluce alla traiettoria di Simion si intravede un dato politico più ampio: oggi, l’unica destra capace di imporsi realmente nei contesti di governo è quella che coniuga identità nazionale e radicamento europeo con una chiara postura atlantista. Il successo dei conservatori “riformisti” — da Meloni a Fiala, passando per lo stesso Simion — dimostra che senza una visione geopolitica coerente e senza una capacità di adattamento istituzionale, la destra resta confinata al ruolo di opposizione permanente. Le varianti più radicali o nostalgiche — da Le Pen a Georgescu, passando per l’AfD — sembrano destinate a un’esistenza elettoralmente rumorosa ma politicamente sterile. Il populismo senza strategia, il sovranismo senza diplomazia, la rabbia senza progetto non bastano più. L’elettorato può anche premiare il linguaggio duro, ma i centri decisionali richiedono competenza, credibilità e alleanze. In questo senso, la destra vincente oggi è quella che non rinnega il suo impianto identitario, ma lo incardina in una lettura realista del mondo occidentale post-2022.

Vincenzo Monti

You may also like

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati