Roma, 22 mag – Nel silenzio complice degli storici ufficiali e nell’indifferenza delle accademie, si è persa una delle pagine più affascinanti e “pericolose” della storia dell’Europa del dopoguerra: quella del Fronte di Liberazione Europeo (ELF), fondato da Francis Parker Yockey. Oggi, mentre l’identità europea viene corrosa giorno dopo giorno dal mondialismo, forse vale la pena di riscoprirlo.
Yockey e la liberazione dell’Europa
Nel 1949, dopo aver rotto con il partito di Oswald Mosley, Yockey fonda con Guy Chesham e Tony Gannon un nuovo organismo rivoluzionario: non un partito, ma un “Ordine, segreto per necessità, dell’élite della nostra Idea all’interno dell’Imperium, che avrebbe operato per assicurarsi l’adesione di persone altamente collocate in tutti i paesi occidentali”, come scrisse Gannon. L’obiettivo era chiaro: un’Europa unita non nel nome della burocrazia o del mercato comune, ma in nome di una missione culturale e imperiale. Nel Proclama di Londra, manifesto del movimento, Yockey scriveva: “Le nazioni sono morte, perché l’Europa è nata. Chiunque cerchi di perpetuare il piccolo statalismo o il nazionalismo antiquato è il nemico interno dell’Europa. C’è una sola forma di tradimento, oggi: il tradimento dell’Europa”. Come ha scritto per Il Primato Nazionale Cristiano Ruzzi, “nonostante i contemporanei dell’epoca abbiano espresso un giudizio negativo verso la sua figura, non si può certo negare che Yockey riuscì, nei suoi scritti, ad affrontare alcune tematiche che ancor oggi, a distanza di 60 anni, mostrano una forte attualità: il degrado della società occidentale (a causa di fenomeni sociali come il femminismo, il pacifismo e il materialismo), l’individuazione dell’America e dell’americanismo come il principale ostacolo alla rinascita europea”.
Mosley vs Yockey
Il conflitto con Mosley fu tutt’altro che secondario. Da un lato l’ex leader del partito fascista britannico, deciso a tornare in scena accettando — anche tatticamente — il primato angloamericano nella nuova Europa “liberata”. Dall’altro Yockey, che nell’alleanza con gli Stati Uniti vedeva un suicidio spirituale. Nella sua pubblicazione The European Situation: The Third Force (1950), Mosley dichiarava: “Sotto la Russia, la libertà europea è uccisa, mentre sotto l’America, la libertà può ancora esistere e persino crescere. È possibile che un’idea decisiva cresca all’interno della democrazia del denaro; questa crescita non è possibile all’interno di una prigione bolscevica”. Per Yockey, quelle parole segnavano una resa. Anni dopo scriverà: “Quando scoprii che Mosley era filo-Churchill, filo-americano e anti-russo à outrance, persino al punto di mobilitare l’Europa per combattere contro la Russia, lo lasciai”. Il dissenso fu anche personale. Chesham, in un documento del 31 agosto 1949, accusava Mosley di aver “assalito con una furia e una cattiveria riservate di solito a William Joyce” il carattere di Yockey, e di aver rifiutato perfino di recensire Imperium, “nonostante avesse promesso di farlo”. Per Mosley, l’ELF era una deviazione pessimista e intellettualista. Per Yockey, Mosley era ormai diventato “il funzionario politico di una civiltà morente”. Una dialettica tutta interna ad un mondo tragicamente diviso in due blocchi. Il rullo compressore della Guerra Fredda finirà per marginalizzare entrambi i protagonisti, non senza che questi – oggi – possano offrire degli spiragli a chi nell’Europa intravede il suo destino.
L’eredità dell’ELF nel National Party of Europe
Per assurdo, l’eredità metapolitica di Yockey e dell’ELF si incontreranno di nuovo con Mosley nel 1962, alla Conferenza di Venezia, che vide la partecipazione di figure centrali come Jean Thiriart, Adolf von Thadden e rappresentanti del Movimento Sociale Italiano e lo stesso Mosley. In quell’occasione fu lanciato il National Party of Europe, un progetto di coordinamento tra movimenti nazionalisti europei che superasse il provincialismo dei singoli partiti per costruire un “nazionalismo superiore”, fondato sulla comune civiltà europea. Il documento approvato a Venezia — la Dichiarazione Europea — proclamava l’urgenza di un governo europeo centralizzato per politica estera, difesa, economia e scienza, nel rifiuto sia del comunismo sovietico che del capitalismo americano. Scrivevano: “L’Europa a Nazione sarà una terza forza, forte quanto l’America o la Russia, e avrà come obiettivo primario il ritiro simultaneo delle forze russe e americane dai territori europei”. Non fu un semplice esercizio teorico: Mosley, Thiriart e pochi altri portarono avanti la campagna propagandistica, ma la mancanza di una struttura centrale efficace e la debolezza di molti alleati nazionali condannarono il progetto a una lenta evaporazione. Tuttavia, la visione di Venezia, figlia diretta dell’eredità culturale dell’ELF, del Manifesto di Verona e dell’Europe a Nation, resta ancora oggi una delle più lucide e radicali alternative all’Europa di Maastricht. Si può dire che proprio a Venezia le due grandi linee dell’Europa del dopoguerra — quella metapolitica di Yockey e quella organizzativa di Mosley — trovarono finalmente un terreno d’accordo comune. L’una portava la visione, l’altra l’apparato. In ogni caso, entrambi avevano compreso che senza una terza forza europea unita, il futuro sarebbe stato solo servitù: sotto Washington o sotto Mosca.
Un vecchio sogno con una potenza nuova
L’ELF nacque quindi come alternativa assoluta. Non una corrente interna, ma una nuova linea rivoluzionaria. Rifiutava ogni alleanza con le potenze occupanti e indicava invece la costruzione lenta ma inesorabile di un’Europa libera “dall’Atlantico agli Urali”. È fondamentale ricordare che questa posizione non implicava alcuna simpatia verso l’URSS. Che Mosca fosse una prigione dei popoli era per Yockey un’evidenza. Ma ciò non significava cedere all’illusione democratico-americana: significava rifiutare entrambi gli imperi stranieri. L’ELF era troppo radicale perfino per il neofascismo britannico. Yockey non cercava approvazione da quelli che considerava nostalgici senza visione: voleva fondare qualcosa di nuovo. Per lui, l’Imperium significava “l’unione permanente e perfetta di tutti i popoli e nazioni d’Europa”. Una visione destinata al fallimento? Forse. Ma era una visione. E oggi, mentre le radici europee vengono estirpate a colpi di “inclusività”, quel sogno acquista una potenza nuova.
Europa, impero senza padroni
È bene chiarirlo: il messaggio del Fronte di Liberazione Europeo non è un invito a cambiare padrone, ma a non averne più. Oggi come ieri, l’Europa non ha bisogno né dei padroni di Washington né dei “liberatori” di Mosca. La sua via resta quella dell’indipendenza, della Tradizione e della civiltà. Le idee dell’ELF hanno ispirato Jean Thiriart, Alain de Benoist, Guillaume Faye e perfino Julius Evola, che lo cita in alcune opere. Idee che tornano oggi nelle parole di movimenti identitari che rifiutano sia il mondialismo americano che la proposta eurasiatica della Russia. Nel Proclama di Londra, Yockey lo diceva senza ambiguità: “Il compito supremo dell’uomo europeo è la creazione di un Imperium europeo”. Se il mondo ha ignorato il Fronte di Liberazione Europeo, forse è arrivato per noi il tempo di riscoprirlo, con lucidità e senza fraintendimenti.
Sergio Filacchioni