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Cento anni fa nasceva “l’Evola americano”: vita misteriosa di Francis Parker Yockey

by La Redazione
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Roma, 18 set – Fra i vari personaggi che animarono, nel secondo dopoguerra, la cosiddetta “Internazionale Nera” (composta da partiti neofascisti e nazionalsocialisti di provenienza europea e anglo-americana) spicca in particolare la figura di Francis Parker Yockey, di cui quest’anno ricorre il centenario della sua nascita: un personaggio abbastanza conosciuto tra i gruppi  americani vicini all’estrema destra, ma che non ha trovato un medesimo riscontro nel continente europeo, dove operò per buona parte della sua vita (complice la mancata traduzione italiana dei suoi scritti, eccetto Il proclama di Londra pubblicato dalle edizioni Effepi, il quale contiene alcune parti della sua opera principale, Imperium). Una figura particolare, anche per il solo fatto che la sua terra natia fosse dall’altra parte dell’Atlantico: Yockey era nato a Chicago il 18 settembre 1917, figlio di Louis Francis Yockey e Rose Ellen “Nellie” Foley, ultimo di una famiglia composta da due sorelle e un fratello maggiore. All’indomani della Grande Depressione, la sua famiglia si stabilì a Ludington, in Michigan. Nel 1934, dopo essere stato ammesso all’università del Michigan, ad Ann Arbor, lesse Il tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler: quest’opera ebbe su di lui un profondo impatto, fornendogli le basi per la sua formazione politica e filosofica. Nel 1938, dopo essere passato all’Università di legge alla Northwestern University, prese contatto con i gruppi americani filo-fascisti e tedeschi di allora (fra cui il German American Bund e le Camicie d’Argento di Pelley, partecipando ad un raduno politico di quest’ultima formazione nel 1939). Dopo un percorso di studi abbastanza travagliato Yockey riuscì a laurearsi in legge, Summa Cum Laude, nel 1941 all’università di Notre Dame. Nonostante la sua opposizione all’entrata in guerra degli Stati Uniti, nel 1942 si arruolò volontario, per ritrovarsi congedato a causa di problemi di salute (gli venne diagnosticata una forma grave di schizofrenia). Una pazzia che tanto grave non poteva essere giacché, a fine conflitto, venne assunto nell’ufficio legale Statunitense che si stava occupando del processo di Norimberga; durante questo periodo, il suo compito era di interrogare i prigionieri accusati di crimini di guerra, e valutare le petizioni di clemenza che gli arrivavano fra le mani. Il lavoro di Yockey ebbe termine il 26 novembre di quell’anno, dovuto al suo licenziamento (secondo alcuni ufficiali statunitensi era diventato un informatore degli accusati). Il 18 settembre del 1947 – giorno in cui compì trent’anni – si spostò a Brittas Bay, in Irlanda, battendo su una vecchia macchina da scrivere Imperium: The Philosophy of History and Politics, senza consultare fonti bibliografiche e firmandola con lo pseudonimo di Ulick Varange. Ma qual è il contenuto di quest’opera, costituita da 600 pagine, diventata così famosa da dare il nome all’omonimo film del 2016 (intravedendone, in una scena, l’edizione americana)? Sotto l’influenza delle idee di Spengler, Yockey auspicava l’unione di un blocco Paneuropeo che avrebbe dovuto costituire “Il primo colpo nella gigantesca guerra per la liberazione dell’Europa”, contrastando gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica colpevoli, secondo la sua visione, di aver trasformato il suolo europeo in un acquitrino spirituale. Inoltre, Yockey auspicava una filosofia del vitalismo culturale, del ritorno all’eroismo, del coraggio e del dovere, virtù che avrebbero dovuto contrastare la decadenza occidentale. Oltre a ciò, l’autore rivolgeva delle accuse contro gli ebrei, colpevoli di aver voluto fomentare una guerra contro “La rivoluzione Europea del 1933”. Nella primavera del 1948 si spostò in Inghilterra, alla ricerca di un editore per il suo libro e facendo ricadere la sua scelta verso Oswald Mosley (l’anno precedente Yockey aveva preso contatto con alcune persone vicine all’ex leader della British Union of Fascists, allo scopo di incontrare “altre persone al servizio dell’Idea”). Tuttavia, Mosley rifiutò di pubblicare il manoscritto: tra le cause di questo rifiuto vi erano alcune visioni politiche, molto diverse tra i due personaggi (per Yockey la Russia era il male minore, perché essa non aveva corrotto l’anima europea agli stessi livelli del capitalismo americano, mentre per il vecchio politico inglese la libertà europea poteva esistere, e svilupparsi, sotto l’ala protettrice americana). Entrato in contrasto con Mosley e al suo neo-partito, l’Union Movement, Yockey decise di auto-pubblicare il suo libro, attraverso l’aiuto economico della baronessa Alice von Pfugl, e fondando nel 1949 il Fronte di Liberazione Europeo, il quale aveva come manifesto politico Il proclama di Londra. Da qui in avanti la vita di Yockey divenne molto movimentata: cominciò a viaggiare fra gli Stati Uniti e l’Europa per cercare di diffondere le sue idee, per poi spostarsi in Egitto nel 1953, dove ebbe contatti con il presidente Nasser (vedendo l’ascesa dei paesi non allineati del Terzo Mondo e del nazionalismo arabo). Nel 1958 se ne perdono completamente le tracce: probabilmente si spostò nella Germania dell’Est, in Russia e, infine, a Cuba, subito dopo la rivoluzione di Castro, prendendo contatti con alcuni elementi del nuovo regime. Rientrò negli Stati Uniti nel giugno del 1960, ospite di un suo conoscente di San Francisco, tale Alex Scharf: avendo perduto la sua valigia all’aeroporto di Forth Worth, in Texas, Yockey telefonò alle autorità aeroportuali per chiedere se erano riusciti a recuperarla. Quando quest’ultimi aprirono la sua valigia, trovarono tre passaporti falsi con la medesima fotografia. Ciò fece mettere in allarme l’FBI (che aveva tenuto Yockey sotto controllo per buona parte della sua vita), e l’otto giugno venne catturato mentre tentava di fuggire dalla casa di Scharf. Al processo il giudice Karesh gli affibbiò una cauzione di 50.000 dollari per il possesso di documenti falsi (una cifra spropositata, considerando che le cauzioni per un reato del genere ammontavano, allora, a 5.000 dollari). Mentre aspettava il processo Yockey decise di suicidarsi, ingerendo il 17 giugno una capsula di cianuro che teneva con sé. Il suo gesto era dovuto a motivi personali e ideologici: si convinse di una possibile macchinazione governativa contro di lui, per farlo dichiarare insano di mente e interdirlo in un manicomio (come era successo anni prima ad Ezra Pound), e in parte non voleva tradire quelle persone che negli anni gli avevano dimostrato la propria lealtà.  Nonostante i contemporanei dell’epoca abbiano espresso un giudizio negativo verso la sua figura, non si può certo negare che Yockey riuscì, nei suoi scritti, ad affrontare alcune tematiche che ancor oggi, a distanza di 60 anni, mostrano una forte attualità: il degrado della società occidentale (a causa di fenomeni sociali come il femminismo, il pacifismo e il materialismo), l’individuazione dell’America e dell’americanismo come il principale ostacolo alla rinascita europea. Infine, nonostante sia rimasto sconosciuto alla stragrande maggioranza del pubblico europeo, il suo pensiero è stato fonte d’ispirazione per alcune tra le menti intellettuali più importanti del ‘900 (tra cui Guillaume Faye, Otto Remer e Julius Evola: quest’ultimo cita, in alcune opere, la figura di Yockey utilizzando lo pseudonimo che questi scelse per Imperium).

Cristiano Ruzzi

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2 comments

Renzo Cecchin 25 Agosto 2019 - 3:22

Buongiorno e complimenti per il Vostro sito.

Sapete se Imperium è disponibile in italiano?
grazie per l’attenzione

Renzo

PS Vorrei altersì iscrivermi alla Vs newsletter, ma il sito ha dei problemi. potete provvedere manualmente?

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