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Calcio italiano, il pokerissimo europeo e la lezione della Nazionale

by Marco Battistini
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calcio italiano, coppe

Roma, 30 apr – Cinque semifinaliste per tre competizioni. Il pokerissimo europeo delle società italiane è un traguardo mai raggiunto in precedenza. Per avere un termine di paragone circa l’impresa effettuata – perché a fronte di quanto seminato e raccolto ultimamente, di questo si tratta – dobbiamo tornare indietro al 1999. Vecchio secolo, un altro millennio: come si suol dire c’era ancora la lira. Erano ventiquattro primavere che il pallone di casa nostra non qualificava almeno una squadra al penultimo atto di ciascuna competizione continentale. Delle quattro di allora – Juventus, Bologna, Parma e Lazio – due arrivarono in finale. Gialloblù e capitolini alzarono rispettivamente Coppa Uefa e Coppa delle Coppe.

Dagli ultimi fuochi novecenteschi ad oggi sono passate almeno due generazioni di calciatori e in mezzo – grazie alle milanesi nella prima metà del ventennio – ci siamo tolti qualche soddisfazione “solamente” in Champions League. Da quei momenti alla Conference romanista qualcosa insomma è andato storto. 

Una rondine (non) fa primavera

Possiamo considerare l’affermazione giallorossa della scorsa stagione come la prima rondine che al termine di un lungo inverno ritorna, annunciando l’irrompere della primavera? Nì. Se da un lato abbiamo subito assistito a questa gagliarda stagione delle italiane in Europa, dall’altro non dobbiamo dimenticare le ormai croniche discrasie proprie del nostro sistema calcistico. Prendiamo – in un discorso diverso, ma allo stesso tempo correlato – l’esempio della nazionale.  

Nell’estate 2021 ci eravamo illusi – chi più, chi meno – che per gli azzurri il periodo buio fosse completamente alle spalle. Un gruppo tutto sommato giovane, affamato e ben assortito ci aveva portato sulle vette più alte del continente. E paradossalmente si poteva ancora salire. Ma neanche dieci mesi più tardi gli stessi interpreti sono sprofondati in quell’abisso che corrisponde al secondo mondiale vissuto da spettatori. Nonostante la spinta emotiva del trionfo londinese, strutturalmente il pallone italiano non è mai cambiato: pochissimi connazionali lanciati in A – no, le serie minori non possono essere il serbatoio azzurro, per lo meno nel breve periodo – e sempre meno italiani nei settori giovanili (nell’ultimo lustro nel campionato Primavera 1 gli stranieri tesserati sono passati dal 27% al 35%). Per quanto riguarda questo secondo punto a onor del vero qualcosa s’è mosso: è notizia fresca la decisione della Lega di inserire nel massimo campionato giovanile una serie di obblighi – progressivi da qui al 2025 – circa l’utilizzo di ragazzi italiani e cresciuti nel nostro paese.

Calcio italiano, quanti interrogativi

Capitolo società. Anche qui i problemi sono svariati, noti e già ampiamente trattati: latitanza dell’imprenditoria nostrana (tanto nelle grandi quanto in provincia, dove le presidenze straniere non si contano più), grave difficoltà nel trattenere i campioni propriamente detti, insieme normativo che fa acqua da tutte le parti. A proposito, pensiamo – da qualunque angolazione lo si voglia analizzare – al recente caso Juve e relativa penalizzazione “sospesa”. Oppure all’ancora irrisolta questione delle multiproprietà.

In Italia l’organismo calcio, pur tornando a dare qualche segno di vita, rimane malato. È vero, non abbiamo mai smesso di produrre allenatori e dirigenti validi, ma dobbiamo tornare “centro” anche per quanto riguarda la questione calciatori. L’aver dimenticato come si maneggia la materia prima ha trasformato la Serie A da Eldorado del pallone mondiale a “campionato di transizione, di seconda fascia” – per dirla con il dirigente interista Beppe Marotta.

La sensazione è che il pokerissimo europeo sia merito delle squadre prese singolarmente – su tutte la sponda giallorossa del Tevere, alla terza semifinale europea in tre anni, quarta in sei stagioni – non del sistema considerato nel suo insieme. Attenzione però, il disfattismo non fa per noi: ora godiamoci le grandi sfide di Inter, Milan, Juve, Roma e Fiorentina. Consapevoli che di lavoro da fare – anche a livello culturale – ne rimane tanto…

Marco Battistini

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