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Una nuova Stonehenge tra le dune del deserto dell’Oman

by Andrea Bonazza
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Roma, 30 apr – Se Stonehenge rimane uno dei siti megalitici più antichi d’Europa, proviamo oggi a spostare lo stesso in quella che, nell’immaginario comune, rimane una delle zone terrestri anticamente più abitate dall’uomo. Non serve però usare la fantasia; un team di archeologi cechi si sono concentrati a lungo sulle aree desertiche ancora poco esplorate del Sultanato dell’Oman, Paese mediorientale tra Iran, Arabia Saudita, Emirati e Yemen. Asce di pietra bifacciale preistoriche, camere funerarie circolari, una collezione di incisioni rupestri e, dulcis in fundo, la sorprendente Stonehenge araba. Scoperte uniche sono state segnalate da un team internazionale guidato dall’Istituto di Archeologia del CAS di Praga, che ha completato con successo la sua terza stagione di scavi in ​​Oman. I campioni raccolti sono ora in fase di analisi da parte di esperti e contribuiranno alla ricostruzione della storia più antica del deserto di sabbia più grande del mondo.

Le grandi scoperte degli archeologi cechi in Oman

Lo scorso anno è stata effettuata la terza spedizione consecutiva e, data la ricchezza delle scoperte ottenute dai ricercatori, ora molte altre sono già in cantiere. Più di venti archeologi e geologi provenienti da dieci paesi sono stati coinvolti negli scavi in ​​due diversi siti in Oman. Il primo gruppo di spedizione si trovava nel Governatorato di Dhofar, nel sud del Paese mediorientale, mentre il secondo gruppo operava nella provincia di Duqm, nell’Oman centrale. I ricercatori hanno condiviso le loro osservazioni direttamente dal campo su Twitter tramite @Arduq_Arabia. Tra le dune del deserto di Rub’ al Khali, nella provincia del Dhofar, i ricercatori hanno portato alla luce diverse asce di pietra che spiegano risalire alla prima migrazione umana dal continente africano, da 300.000 a 1,3 milioni di anni fa.

Alla ricerca dell’Eden mediorientale

Tra le dune di questo antico deserto, che raggiungono altezze fino a 300 metri, i ricercatori sono riusciti a trovare gusci d’uovo di struzzi estinti da tempo, una duna fossile e un vecchio alveo di un fiume di un periodo in cui il clima in Arabia era notevolmente più umido. “I nostri risultati, supportati da quattro diversi metodi di datazione, forniranno dati preziosi per ricostruire il clima e la storia del deserto di sabbia più grande del mondo”. A spiegarlo è il capo spedizione e coordinatore Roman Garba, dell’Istituto di archeologia del CAS di Praga. “Le condizioni naturali hanno anche modellato gli insediamenti preistorici e quello che stiamo cercando di fare è studiare l’adattabilità umana ai cambiamenti climatici”.

La Stonehenge del deserto

Per rendere più efficace la ricerca storica, gli archeologi cechi stanno usando speciali metodi di datazione per determinare l’età dei reperti. “Effettuiamo la datazione al radiocarbonio e la datazione del radionuclide cosmogenico in collaborazione con l’Istituto di fisica nucleare del CAS, che ha recentemente commissionato il primo spettrometro di massa con acceleratore nella Repubblica Ceca”, ha spiegato ancora Garba. La datazione al radiocarbonio e l’analisi spazio-temporale possono anche aiutare i ricercatori a scoprire di più sui monumenti rituali in pietra di circa duemila anni, noti come triliti. In parole povere, possono essere paragonati alla più nota e più antica Stonehenge inglese, anche se non è chiaro esattamente a cosa servissero o chi li abbia costruiti.

Camere funerarie circolari tra i megaliti dell’Oman

Il secondo gruppo di spedizione ha operato invece nella provincia di Duqm dell’Oman centrale, concentrandosi in particolare su una tomba neolitica risalente al 5.000-4.600 a.C., nel sito di Nafūn. “Quello che troviamo qui è unico nel contesto di tutta l’Arabia meridionale. Una struttura megalitica che nascondeva due camere funerarie circolari ha rivelato i resti scheletrici di almeno diverse dozzine di individui. Le analisi isotopiche di ossa, denti e conchiglie ci aiuteranno a conoscere meglio la dieta, l’ambiente naturale e le migrazioni della popolazione sepolta”, spiega Alžběta Danielisová dell’Istituto di archeologia di Praga.

Tracce rupestri nelle migrazioni climatiche

Non lontano dalla tomba scoperta dagli archeologi, c’è una collezione unica di incisioni rupestri distribuite su un totale di 49 blocchi di roccia, i cui diversi stili e vari gradi di alterazione degli agenti atmosferici forniscono una documentazione pittorica degli insediamenti dal 5.000 a.C. al 1.000 d.C. I ricercatori hanno anche studiato i siti di produzione di utensili in pietra della tarda età della pietra.
La ricerca in Oman fa parte di un progetto più ampio dell’antropologo Viktor Černý dell’Istituto di Archeologia di Praga. La sua ricerca si concentra sulle interazioni bioculturali delle popolazioni e sul loro adattamento ai cambiamenti climatici.“Le interazioni rilevate delle culture archeologiche africane e arabe caratterizzano la mobilità delle popolazioni di esseri umani anatomicamente moderni. Sarà interessante confrontare questi risultati anche con la diversità genetica delle due regioni e creare una visione più completa della formazione della società contemporanea nell’Arabia meridionale”, ha spiegato Černý, che ha ricevuto il prestigioso Premio accademico dell’Accademia ceca delle scienze per il progetto lo scorso anno.

Andrea Bonazza

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Una nuova Stonehenge tra le dune del deserto dell’Oman – Blog di Scrillo 30 Aprile 2023 - 4:16

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