Roma, 21 nov – Organizzazioni criminali del sud Italia (come mafia e ‘ndrangheta) stanno prosperando nella capitale, attraverso il controllo non solo del narcotraffico ma anche di numerosissimi negozi ed esercizi commerciali. Favorite dalle difficoltà economiche di molte imprese, famiglie di origine calabrese e campana compiono i loro investimenti con notevole profitto, senza neanche il bisogno dell’uso sistematico della violenza come avviene nelle regioni d’origine. «C’è il rischio che di fronte a grandi disponibilità di denaro liquido, specie in tempi di crisi, si abbassino le difese immunitarie. (…) Se la mafia si presenta con il volto pulito e la valigetta piena di soldi le è più facile farsi strada»: è quanto emerge dalle dichiarazioni del procuratore della Repubblica di Roma Giuseppe Pignatone, rilasciate alla rivista di geopolitica Limes di questo mese.
Pignatone parla poi del consolidamento di organizzazioni criminali “autoctone”, cioè potenti famiglie romane in grado di condizionare l’economia di interi quartieri (come Ostia), e scavalcare o stingere accordi con le mafie del sud per il controllo del territorio. Affermazioni che sembrano confermare le tesi di chi ha parlato dell’emergere di una “quinta mafia” a Roma, spesso negate dalle stesse istituzioni. L’operazione di polizia “Alba Nuova” (51 arresti sul litorale romano) del luglio scorso è un ulteriore segnale in questo senso. Per di più, a questo scenario si aggiungono le ramificazioni di queste società nei mercati del sud del Lazio, da dove parte lo smistamento dei cosiddetti “cibi tossici” provenienti dalla terra dei Fuochi.
La debolezza dello Stato e della classe politica attuale lascia pensare che la soluzione a questi problemi, aggravati dalla crisi che attanaglia il popolo italiano, sia ben lontana. Nessun progetto e nessuna politica dura ed efficace è stata messa in campo, al di là delle solite dichiarazioni di circostanza dei vari Zingaretti, Tassone e Marino.
Francesco Carlesi