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“Nei campi non c’è lavoro per tutti” e gli italiani rimangono esclusi. Cosa dice la Bellanova?

by Cristina Gauri
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agricoltura

Roma, 19 mag – Gli italiani sono allergici al lavoro nei campi, sostengono i progressisti. Per raccogliere frutta e verdura sono necessari gli stranieri. Come è possibile, quindi, che in questo periodo nei portali delle organizzazioni agricole si registrano dieci domande – quasi tutte inoltrate da connazionali – per un solo posto offerto? E questa situazione come può conciliarsi con il principio alla base della maxi-sanatoria voluta dalla Bellanova, secondo il quale «quei pomodori non si raccoglieranno da soli» e quindi si deve dare il via alla regolarizzazione di centinaia di migliaia di immigrati?

Una mossa, quella della sanatoria (che non è valida solo per chi lavora nel settore agricolo o nel lavoro domestico), che è piaciuta poco persino alle dirette interessate associazioni di categoria e alla Coldiretti; la quale, solo settimana scorsa, sosteneva invece la necessità di istituire dei «corridoi agricoli» per favorire il rientro di braccianti stagionali rumeni e dell’est Europa, già specializzati da anni nei lavori di raccolta – checché se ne pensi, non basta provenire dalla Costa d’Avorio e avere due forti braccia per poter fare il bracciante. Non c’è stato nulla da fare: la renziana Bellanova ha imposto il diktat, rivelatosi peraltro uno degli elementi che hanno favorito le lungaggini e i ritardi del decreto Rilancio.

La beffa è proprio questa: tanta fretta di approvare una norma pro immigrati nel momento storico in cui gli italiani si sono mossi in massa a richiedere di poter lavorare nel settore agricolo. Ad oggi sono circa 24mila i connazionali che hanno presentato domanda per lavorare nel comparto agricolo. Ex commessi, camerieri, tanti laureati: ma anche lavoratori nel comparto turistico e impiegati. Un esercito di italiani pronti a «sporcarsi le mani» e smentire quell’odioso luogo comune autorazzista (e razzista-schiavista anche verso gli immigrati, a voler ben vedere) dei «lavori che non vogliamo più fare». Insomma, la crisi economica ci ha fatto riconsiderare l’opzione dell’onesto lavoro nei campi. Ma purtroppo non c’è posto per tutti. Nel frattempo fioccano le domande: Ne sono giunte circa 12mila, da parte di italiani, su Agrijob, la piattaforma di Confagricoltura, mentre Jobbing Country – è il sito della Coldiretti – ne ha registrate 9.500. La Cia invece circa duemila, Humus Jobs almeno 700.

Cristina Gauri

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2 comments

Sergio Pacillo 19 Maggio 2020 - 12:38

Lo smantellamento dell’ordine sociale così come lo avevamo concepito è appena cominciato.

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Rocco 19 Maggio 2020 - 8:45

Cara Bellanova, hai sbagliato di grosso. In più voglio raccontarti:
Oggi sono andato dal consulente perché voglio spostare la sede legale della mia azienda da un comune ad un’altro. Il consulente mi ha detto che la cosa va fatta da un notaio. Costo intorno al migliaio di euro. Al che ho pensato che forse è meglio chiudere tutto. Trattasi di una SRL. Non capisco perché devo pagare tanti soldi per un atto che potrebbe benissimo essere fatto dalla Camera di commercio o con una semplice autocertificazione. Spremono fino al punto che tolgono la voglia di lavorare, poi pagano reddito di cittadinanza e cassa integrazione A chi potrebbe essere utilizzato a lavorare per la PA ovunque necessario, e chi non accetta deve rimanere senza aiuti dello stato. Insomma si arriva al punto che uno dietro a tanti dritti si rompe le scatole di tutti e se ne va all’estero.

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