Roma, 23 giu – Che questo conflitto in Iran segni la fine dei miti geopolitici è una realtà. Eppure, l’universo della geopolitica orientale – e non – non smette mai di annientare qualsivoglia idealizzazione. Ebbene sì, perché questi attacchi notturni made in Usa contro l’Iran hanno messo a nudo ulteriormente nuove verità scomode, o almeno per coloro i quali continuano a portare avanti la carcassa di un falso sovranismo da operetta.
Trump non è il presidente della pace
Donald Trump – almeno secondo coloro che ne sostenevano a furor di popolo la candidatura nel 2020 e nel 2024 – è stato “l’unico presidente sotto la cui guida non sono mai scoppiate guerre”. Poco importa se, uno dei suoi primi atti da presidente, nella notte tra il 6 e il 7 aprile 2017, fu lanciare un attacco con 59 missili Tomahawk dalle navi di stanza nel Mediterraneo. Gli attacchi colpirono la base siriana da cui sarebbero partiti i bombardamenti contro Idlib, occupata dai turchi – amici degli americani, membri della Nato – e dai fondamentalisti islamici che anni dopo avrebbero invaso la Siria. Poco importa se uno dei primi atti della sua presidenza nel 2020 fu eliminare il generale Qassem Soleimani, capo dei Pasdaran che lottarono eroicamente contro l’Isis ed il fondamentalismo wahhabita in Siria. Per non citare il supporto militare all’Arabia Saudita nella guerra civile yemenita e l’incremento della presenza militare nel Golfo Persico e nel Medio Oriente in risposta alle tensioni con l’Iran. Gli Stati Uniti sono tutt’altro che pronti a “isolarsi” nel proprio giardino di casa nordamericano, e questa vera e propria nuova guerra iniziata dal loro proxy – Israele – e continuata da loro va a instradare una nuova epoca di terrore e di egemonia in Medioriente.
La Russia non è né antisionista né antiamericana
È notizia dei giorni scorsi che il presidente russo Vladimir Putin, in conferenza stampa, alla domanda sul perché la Russia non stia fornendo aiuti militari all’Iran, ha risposto (fonte: Tass, agenzia di stampa russa): “Vorrei richiamare la vostra attenzione sul fatto che quasi due milioni di persone provenienti dall’ex Unione Sovietica e dalla Federazione Russa risiedono in Israele. Oggi, Israele è praticamente un paese russofono. E, senza dubbio, ne teniamo sempre conto nella storia contemporanea della Russia“. Sostanzialmente, Putin sottolinea i buoni rapporti tra Russia e Israele, considerando anche che numerosi membri dell’esecutivo a guida Likud abbiano radici russe o ex sovietiche. Inoltre, ricordiamo la posizione di freddezza assoluta tenuta dal governo di Netanyahu nei confronti di Kyiv e della lotta dell’Ucraina per la propria autodeterminazione. Quindi dichiarare che “l’Ucraina è l’Israele d’Europa” – come si legge in giro da qualche giorno – è un’assurdità. Non ultimi, vi sono i casi di doppia cittadinanza riguardanti gli oligarchi che tengono in piedi il governo russo. Un nome fra tutti – quello di Roman Abramovic – e di Vladimir Solovyov, di radici ebraiche e che in passato aveva dichiarato di esser “pronto a imbracciare le armi per difendere Israele”.
L’Iran non è il paradiso, ma è la parte aggredita
Sin dall’aggressione di Israele nei confronti della Repubblica Islamica dell’Iran, tanti commentatori filoccidentali – ma anche dall’altra parte – hanno sottolineato come sia giusto far crollare gli ayatollah, in quanto “finanziano il terrorismo internazionale”. La realtà dei fatti è che Teheran è l’unico attore indipendente rimasto in seguito alla capitolazione di Iraq, Siria e Libia: come Nazione, l’Iran ha scelto di esautorare una monarchia secolare ed intraprendere, nel 1979, una via autonoma. Gli aspetti negativi, semmai – da un punto di vista identitario europeo – non sono quelli proposti dalla narrazione liberale e progressista dominante. No, il problema dell’Iran non è che “non c’è democrazia” o lo sviluppo di un’arma atomica. Gli ayatollah sono da oltre vent’anni sotto assedio: sabotaggi, infiltrazioni, isolamento diplomatico, embargo e minacce militari circondano l’Iran da ogni lato. Stare con i popoli che resistono all’annientamento, lottando per la propria indipendenza, non con i governi: è questa la visione del mondo davvero contrapposta sia all’atlantismo filoccidentale che alla marmaglia post-ideologica e antioccidentalista.
Il mondo multipolare non esiste
Appurato che Mosca ormai collabora con Israele in Siria e che non ha offerto alcun supporto a Teheran, appare chiaro come il falso mito del mondo multipolare sia ancora una volta smentito dai fatti. Anche i Brics, proposti da alcuni come alternativa all’egemonia neoliberale atlantista, non hanno mosso un’unghia in difesa di Teheran. Il multipolarismo resta un’illusione, una semplice scappatoia retorica da guerra fredda rediviva. Riconoscerlo non vuol dire accettare l’egemonia degli USA come potenza mondiale inarrestabile, ma è la condizione necessaria per non cadere in nuove illusioni. Il multilateralismo – in realtà già sussistente – risulta nuovamente un’espressione della legge del più forte: gli Stati Uniti – prima potenza economica e militare del mondo – impongono la propria volontà unilateralmente; dall’altra parte abbiamo la Cina, che più silenziosamente utilizza il soft power per farsi strada; potenze regionali come la Russia, l’India, il Pakistan e l’Iran, che tentano di dominare le proprie sfere – ridotte – di influenza. Appare dunque chiaro che il sistema delle relazioni internazionali sia un semplice specchietto per le allodole, e ancora di più il diritto internazionale. Il “Sud globale” tanto invocato da Mosca come “baluardo antiamericano” non viene nemmeno più citato dagli organi ufficiali del Cremlino, che esplicitamente ricalcano l’opposto dei suoi ultrà, specie quelli italiani.
L’errore dell’idealizzare i politici
In conclusione, la svolta per comprendere al meglio le evoluzioni della geopolitica – in un mondo in cui le grandi potenze sempre meno fanno dell’ideologia un vero e proprio grimaldello – è smettere di idealizzare le figure dei grandi politici globali. No, Trump non è il “difensore del mondo libero dalle autocrazie”, o il “presidente americano isolazionista, per la pace e per il rientro a casa dei veterani americani”; Putin non è “il nuovo Hitler” o “il salvatore della tradizione contro la decadenza woke occidentale, l’uomo che salverà l’Europa dall’imperialismo yankee”; L’ayatollah Khamenei non è un “despota neofascista religioso contro le democrazie” o un “il baluardo del fronte arabo mediorientale (anche se gli iraniani non sono arabi, ma comunque inesistente) contro l’entità sionista”. Stare coi popoli, non con i politici. La nostra bussola è la sovranità nazionale ed imperiale: è questa coerenza che distingue una visione autenticamente rivoluzionaria dal contraddittorio caos dei “due blocchi”.
Patrizio Podestà