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L’Italia e quel business miliardario sulla pelle dei Marò

by La Redazione
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maròRoma, 24 dic – Nelle ultime settimane era circolata la voce che la nostra diplomazia era al lavoro per tentare di far rientrare il Marò Salvatore Girone in Italia per le feste natalizie. Se è vero è stato l’ennesimo nulla di fatto e il ministro degli Esteri Gentiloni ha dichiarato che i rapporti politici con l’India sono “pessimi”.
Il Presidente Mattarella ha telefonato a Girone rinnovandogli vicinanza e appoggio ma di fatto certificando l’impotenza. Effettivamente chi segue la vicenda si trova in uno stato di scoramento. L’apertura della cassaforte indiana dei documenti giudiziari, che ha mostrato un impianto accusatorio a dir poco stravagante, non si è tradotto in una più incisiva azione italiana a far valere le “Ragioni dell’Innocenza”. Al contrario il rappresentante della Republic of India al Tribunale di Amburgo, Neerhu Chadha, ha potuto impunemente proclamare in un consesso internazionale che “l’Italia cerca compassione” senza che si sia levata una voce di indignazione se non quella dei privati cittadini impegnati sui social media a seguire la vicenda.

Invece dobbiamo registrare un nuovo business Italia-India come se non ci fosse nessun contezioso aperto. Stavolta si tratta di un contratto fra Fincantieri (controllata dallo Stato italiano) e i cantieri navali Mazagon (controllati dallo Stato indiano) per la consulenza alla progettazione di sette fregate addirittura “stealth” (a bassa visibilità radar). Parliamo quindi navi militari e di cessione di tecnologia militare all’avanguardia, una collaborazione che si presume durerà una decina di anni. Segue la commessa della marina indiana alla società Wass di Livorno per 100 siluri da sommergibile Black Shark a 300 milioni di €, poi 8 cannoni navali OTO Melara da 127/64 per 250 milioni, tutto dei primi mesi del 2015.
Poi ci sono da parte indiana i “finti dispetti”: la non ammissione della OTO Melara a una gara di 400 milioni di € per la fornitura di 110 cannoni navali da 30mm. In realtà nessuna delle aziende internazionali invitate si è presentata per una clausola-capestro che prevedeva il trasferimento di tecnologia.

E il punto è proprio questo: la disponibilità delle aziende italiane facenti capo a Finmeccanica di trasferire tecnologia avanzata alle aziende indiane nelle more di contratti di fornitura. I cannoni navali OTO Melara da 76mm sono già costruiti su licenza in India dalla BHEL, i siluri Black Shark saranno prodotti in minima parte in Italia e il resto in India, stessa cosa per i cannoni navali da 127/64 e idem per i 110 cannoni da 30 mm per i quali la tecnologia di produzione dovmauro-moretti-al-farnborough-airshow-con-finmeccanica-569503rebbe essere trasferita alla Bharat Heavy Electronics Ltd. Si può capire che l’India (il maggior acquirente di armamenti del pianeta) faccia i suoi interessi chiedendo il trasferimento delle tecnologie per ogni materiale che compra, ma chi vende avrà pure un potere contrattuale in queste vicende. E occorre ricordare che nella vicenda Marò gli aspetti commerciali (militari e civili) sono stati il convitato di pietra fin dall’inizio, con la presenza di fabbriche in India di imprenditori italiani fra cui possiamo citare la componentistica auto (De Benedetti), impianti frenanti per autoveicoli (Brembo, Bombassei) o la produzione delle Vespa a Pune, (Colaninno) a cui dobbiamo aggiungere alcune centinaia di aziende italiane che sono andate a produrre in India per via della vantaggiosa situazione economica e legislativa.

E sappiamo ormai per certo che nella decisione di far rientrare in India i due Marò ha pesato in modo determinate una lettera firmata dal presidente di Confindustria Squinzi, che paventava danni economici nel caso che l’Italia non avesse rispettato la “parola data”. Come se fosse possibile dare la parola contro le sentenze della Corte Costituzionale. Ora, pur riconoscendo a Renzi il merito di aver ricorso al Tribunale Internazionale sollevandoci dall’umiliazione della “diplomazia dei tramezzini” seguita dal governo Monti, è necessario ribadire che senza un molto più incisivo contegno sia a livello di Tribunale Internazionale dell’Aia sia a livello della gestione dei rapporti commerciali con l’India, non si va da nessuna parte. L’India ha infatti ampiamente dimostrato, sia con l’intervento scritto del 6 Agosto al Tribunale di Amburgo (la “compassione”) sia con l’inconsistente e strumentale impianto accusatorio, non di cercare “giustizia” quanto di voler “vincere” ad ogni costo una contesa internazionale con l’Italia e recederà solo se il prezzo da pagare a livello diplomatico, economico e di rapporti internazionali sarà considerato superiore ai benefici in termini di immagine da “pre-potenza regionale”.

E’ illusorio continuare a imbastire commesse e rapporti commerciali con l’india in una situazione irrisolta per Girone e Latorre, è bene chiarire che la vicenda può assumere tinte fosche e in tal caso noi non potremo più cedere nessuna tecnologia, il paperone siderurgico indiano non si potrà comprare l’Ilva di Taranto e così via. Spiegarsi prima è saggio, lasciarsi travolgere dagli eventi è stolto.

Luigi Di Stefano

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