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Perché servirebbe il ritorno della leva obbligatoria

by Paolo Mauri
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esercito, volontari nell_'atto del giuramentoRoma, 30 lug – Ha fatto discutere in questi giorni la proposta di Matteo Salvini del ritorno della leva obbligatoria: e se non fosse un’ipotesi tanto azzardata?
Al di là delle considerazioni etiche e sociologiche che sono state già ampiamente dibattute e che segnano un punto a favore per il ritorno del servizio di leva, ci sono altre considerazioni più tecniche che potrebbero essere prese in considerazione in questo senso.
Se la leva ha rappresentato uno strumento atto ad “amalgamare” gli italiani rendendoli popolo, così come fecero le trincee della Grande Guerra, è anche vero che la funzione principale era quella di rispondere ad un determinato tipo di minaccia considerata prioritaria al tempo dell’utilizzo della coscrizione obbligatoria.
In Europa infatti le nazioni occidentali, salvo rari casi, avevano tutte previsto questo strumento per predisporre la propria difesa in caso di conflitto tra le due superpotenze egemoni del dopoguerra, dato che il fronte sarebbe stato a poche centinaia di chilometri a causa della particolare separazione geografica tra i paesi della Nato e del Patto di Varsavia.
Il cittadino doveva saper maneggiare le armi, anche solo in forma basilare, per poter essere rapidamente inquadrato in quei reggimenti divisi territorialmente che avrebbero fornito opposizione con la sola forza del numero ad una eventuale invasione delle truppe sovietiche, eventualità considerata come praticamente certa in caso di nuovo conflitto mondiale, tanto che gli stessi piani Nato prevedevano una tattica atta proprio a tagliare le linee di rifornimento delle truppe del Patto di Varsavia avanzanti nell’Europa occidentale.
Successivamente, col crollo del muro di Berlino e con il riassetto delle condizioni geopolitiche globali che per quasi un ventennio hanno visto una sola superpotenza egemone su scala globale, gli Stati Uniti, necessariamente si è dovuta cambiare l’organizzazione delle forze armate essendo praticamente sparito il nemico di riferimento della Guerra Fredda, la Russia. Così, gradatamente, si è passati dalla coscrizione obbligatoria ad un esercito costituito solo da professionisti ben addestrati e meglio equipaggiati.
Un piccolo numero di uomini rispetto ai tempi della leva, ma in grado di rispondere efficacemente alle nuove minacce mondiali che vengono definite “asimmetriche”, ovvero non convenzionali.
La “guerra al terrorismo”, terribile neologismo di marca americana, con gli interventi in Afghanistan e Iraq ha rappresentato emblematicamente questa nuova dottrina di impiego delle forze armate: non servono più centinaia di migliaia di uomini con un fucile, ma unità altamente specializzate in attività COIN con il supporto di mezzi tecnologici avanzati. Capacità che non si possono apprendere col servizio di leva ma che richiedono anni di addestramento.
Negli ultimi anni però stiamo vivendo un periodo storico particolare, in cui, oltre a quelle “asimmetriche”, si stanno riaffacciando minacce di tipo più convenzionale: il ritorno sulla scena geopolitica mondiale della Russia, principalmente, rappresenta più di una semplice preoccupazione in seno ai paesi della Nato. Nel Libro Bianco della Difesa, redatto qualche mese fa dal governo insieme alle massime cariche militari, si esprime infatti la necessità che lo strumento militare italiano faccia fronte ad una eventuale invasione del territorio nazionale, così come paventato durante la Guerra Fredda. Gli stessi Stati Uniti sono stati ancora più chiari in merito nel loro “National Military Strategy of the United States of America 2015” sottolineando ancora una volta come il loro principale avversario, oltre a Cina, Iran e Corea del Nord, sia la Russia.
Sostanzialmente quindi si stanno riaffacciando scenari da Guerra Fredda, non solamente legati allo scacchiere europeo grazie alle velleità espansionistiche cinesi in Estremo Oriente, per cui si è già posta l’esigenza politica di adeguare lo strumento difesa al ripresentarsi di vecchie minacce unite alle nuove asimmetriche ed ibride. Per questo un ritorno alla coscrizione obbligatoria, sicuramente non con gli stessi canoni addestrativi che aveva un tempo quando i soldati erano principalmente rinchiusi nelle caserme a non fare nulla, non è così anacronistico e ridicolo come si potrebbe pensare.
Va anche considerato che, riveduta e corretta prendendo ad esempio quei paesi europei che ne sono ancora dotati come la Svizzera o la Finlandia, la leva diventerebbe uno strumento di ritorno alla piena sovranità nazionale: un primo piccolo passo verso un eventuale distacco dal vincolo militare imposto dalla Nato, ormai diventata organo delegato alla difesa nazionale con tutti i problemi che ne conseguono, come lo scellerato intervento in Libia che così tanto è costato ai nostri interessi nazionali. Ovviamente occorre una revisione dei trattati unita ad un maggiore investimento di risorse nel campo della Difesa, e disperiamo che qualsiasi governo, stante l’attuale classe politica, possa mai seriamente intraprendere una strada simile essendo troppo impegnati a “far quadrare i conti”, ma, restando nel campo delle possibilità, una revisione dell’organismo Difesa italiano integrando una coscrizione selettiva e continuativa sul modello svizzero e un esercito professionale sarebbero auspicabili dato il mutato scenario geopolitico mondiale.
Paolo Mauri

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Adriano Calabrese 31 Luglio 2015 - 7:42

più che altro servirebbe a mettere un po in riga la generazione-zombi nata tra gli anni 90 e i 2000, visto che sono dei genietti dell’informatica che non sanno neanche allacciarsi le scarpe…

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