Pisa, 7 feb – Una mano bionica con tutte le caratteristiche del senso del tatto. E’ quella che per la prima volta è stata impiantata grazie ad un team di ricercatori italiani ad un ragazzo danese, mutilato di un arto.
Dennis Aabo Sørensen, una mano amputata nove anni fa a causa dei famigerati botti di capodanno, è stato il primo al mondo a sperimentare la possibilità di provare nuovamente, tramite una protesi robotica, le sensazioni comunemente definite dal senso del tatto: percepire gli oggetti toccati, riconoscerne la forma, la consistenza e la localizzazione spaziale. Aspetti dati per scontati dai più, ma di una complessità straordinaria. Straordinaria come i risultati riportati: nel 78% dei casi è stata rilevata correttamente la densità degli oggetti toccati – duri, intermedi, morbidi – sono state definite tutte le grandezze e forme di essi e, nel 97% dei casi segnalata con successo la posizione nello spazio.
Dopo una selezione fisica e soprattutto psicologica, al soggetto è stato integrato l’arto bionico presso il Policlinico Gemelli di Roma: un’operazione delicata e dall’esito tutt’altro che certo, come afferma il gruppo di chirurghi e di neurologi, capeggiato dal neurochirurgo Paolo Maria Rossini, che ha collegato gli elettrodi transneuronali all’interno dei nervi ulnari e mediani del suo braccio sinistro: “Eravamo preoccupati per la ridotta sensibilità dei nervi di Dennis, visto che non erano più stati utilizzati da oltre nove anni”. Invece, dopo 19 giorni di test, Salvatore Micera ed il suo team hanno potuto collegare la protesi, sulla quale è posizionata una serie di sensori che raccolgono le informazioni recepite nell’ambiente, agli elettrodi ogni giorno nell’arco di una settimana. La tensione misurata all’interno di questo meccanismo, viene trasformata in segnali elettrici che, tramite la codificazione di appositi algoritmi, è convertito in un impulso comprensibile ai nervi del braccio del paziente, che permettono la sensazione tattile al cervello. “Quella del feedback sensoriale è stata per me un’esperienza stupenda”, racconta Dennis. La soddisfazione è massima.
Soddisfazione massima ovviamente anche per il team di ricerca e sviluppo. Il progetto, chiamato “LifeHand2”, ha base in Italia ed opera con il lavoro congiunto di quattro istituzioni nazionali: in primis l’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa affiancato nella fase pratica dall’Università Cattolica-Policlinico Agostino Gemelli, il Campus Bio-Medico e l’Irccs San Raffaele di Roma, alle nostre si è aggiunta la collaborazione dell’Ecole Polytechnique Federale di Losanna e dell’Istituto Imtek dell’Università di Friburgo. Un consesso di bioingegneri ed esperti di diverse specialità della medicina, cui fa parte anche l’attuale ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza. Il team è stato coordinato da Silvestro Micera, docente di biorobotica al Sant’Anna di Pisa, che ha azzardato ai media un paragone astronautico: “Ci siamo presentati un po’ come i ricercatori della prima missione sulla Luna: dopo anni di lavoro spingi il bottone, fai partire l’astronave e da lì non puoi più tornare indietro”.
Gli obbiettivi futuri sono adesso rappresentati dalla necessità di rendere la mano permanente e di aumentare numero e qualità dei sensori tattili integrati nella protesi. Questo esperimento spalanca comunque praterie di applicazioni davanti a sé, come ad esempio nella cura dei paraplegici o nell’apertura di altre strade nella via della biorobotica.
Quel che è certo è che anche in questo settore si parla italiano.
Si parla di un primato nazionale.
Gabriele Taddei