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Ezzelino da Romano: un barone Italiano alla corte degli Svevi

by La Redazione
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ezzelino da romano, barone

Roma, 6 ago – Crocevia di importantissime vie di comunicazione tra l’Italia e il cuore dell’Europa, il Veneto ha saputo segnare fin dai tempi più antichi la storia del nostro paese. Tutti abbiamo presente l’importante ruolo che queste località del Nord-Est della penisola hanno ricoperto nelle guerre di Indipendenza contro il dominio asburgico. Un po’ meno invece sono note le vicende che hanno attraversato questa terra durante il medioevo, o tale conoscenza si limita spesso al ricordo delle storie della città di appartenenza (il retaggio dei “comuni” è ben lontano dall’essere superato). Molti sono i nomi che abbiamo colto ogni tanto nei ricordi tramandati di padre in figlio che dalla storia attraversano il sottile confine della leggenda campanilista. Oggi parleremo proprio di uno di questi nomi, una figura che ha segnato col fuoco e col sangue le vicende di una vastissima parte del territorio Veneto: Ezzelino da Romano.

Ezzelino da Romano, tutto per l’Imperatore

Nato probabilmente nel castello di famiglia a Romano (nei pressi di Bassano del Grappa) Ezzelino III da Romano discende da una nobile casata originaria della Germania. Di sangue caldo e mente lucidissima, la predisposizione alla guerra del giovane condottiero si fa notare fin dalla più giovane età quando si distingue al fianco del padre nelle varie lotte tra nobiltà e comuni che hanno caratterizzato i primi anni del XIII secolo nel Vicentino e nel Veronese.

Intenzionato ad aumentare la propria influenza nel territorio Scaligero, una volta che il padre si ritira in convento e “abdica” in favore dei due figli, Ezzelino sposa una giovane nobildonna della casata dei San Bonifacio e riesce poco dopo ad assumere il titolo di podestà di Verona guidando un colpo di stato della fazione Guelfa della provincia. Da principio fedele alleato della Lega Lombarda, Ezzelino viene cacciato dal suo ruolo predominante della marca Veronese una volta che la Lega scende a patti con l’Imperatore Federico II.

Le storie del signore di Romano e di Federico II di Svevia però sono destinate ad intrecciarsi ancora. In opposizione alla Lega, anni dopo Ezzelino riprende la città di Verona con le armi e apre le porte all’Imperatore, con cui inizia un sodalizio che lo vedrà fedele amico e collaboratore dello Svevo fino alla morte di quest’ultimo, nel 1250. Decisamente in anticipo sulla nascita delle signorie, durante le campagne del sovrano Svevo Ezzelino estende a dismisura i suoi domini nel Nord Italia, radunando sotto i suoi stendardi territori da Belluno a Brescia, passando per Verona, Padova e Vicenza.
E proprio a Vicenza il nobile italiano si rende noto per i suoi metodi poco ortodossi e spietati per il controllo della popolazione, sollecitato dallo stesso Federico. La leggenda narra che, scocciato per la resistenza della cittadina, l’Imperatore una volta entrato entro le mura accompagnato da Ezzelino indicasse al suo vassallo come “prendersi cura dei suoi nemici all’interno di Vicenza” sguainando la spada e falciando un mucchio di spighe di grano: di sicuro il condottiero di Romano recepì il messaggio.

L’amicizia con l’Imperatore porta Ezzelino a sposarne la figlia Selvaggia, purtroppo morta prematuramente, un episodio che fa ben capire quanto il grande sovrano Svevo tenga in considerazione quello spregiudicato e valente guerriero. Dopo la morte di Federico, Ezzelino è politicamente isolato. Fervente ghibellino e fedele servo degli Svevi, viene immediatamente preso di mira dal papa Alessandro IV, già nemico dell’imperatore e ora ansioso di liberarsi del feroce signore del Veneto centrale. E’ così che contro di lui viene addirittura invocata una crociata, guidata dai signori d’Este e presto arricchita da tutti quei nemici che il barone di Romano si è procurato nel tempo compresi i suoi vecchi parenti: i San Bonifacio.

L’ultima risata “infernale”

Dopo oltre cinque anni di spietate battaglie e ribaltamenti di fronte, Ezzelino viene infine ferito e catturato a Cassano d’Adda. Portato in prigionia a Soncino, il guerriero rifiuta ogni cura e fasciatura dai propri nemici. La morte è prossima e quando il sacerdote si accosta al debole corpo del morente Ezzelino gli sputa in faccia il suo ultimo gesto di disprezzo nei confronti del papato e della Chiesa: rifiuta i sacramenti con una risata feroce, preferendo morire dannato piuttosto che domato.

Così si conclude la storia di uno dei signori più iconici del territorio del Nord Italia, talmente noto per il suo cinismo e per la sua ferocia da essere collocato da Dante nel girone dei violenti contro il prossimo. Non possiamo sapere come avrebbe reagito il nobile di Romano a questa definizione del poeta fiorentino, ma possiamo immaginarlo se proviamo a concentrarci nel sentire le sue risate di scherno provenire dagli abissi dell’aldilà dantesco.

Marco Scarsini

 

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