Roma, 26 ott – Alla fine il centenario della marcia su Roma è arrivato. Il centenario più temuto di sempre, certo, ma anche il più strumentalizzato. Se il «ritorno del fascismo» è più un grimaldello giornalistico che una concreta eventualità politica, è però evidente che l’«anniversario nero» interroga gli italiani sulla loro storia e la loro memoria, spesso sabotata proprio da chi ha costruito intere carriere sull’antifascismo, la parolina magica che apre le porte a tutte le mangiatoie. Per questi motivi, Altaforte ha deciso di ridare voce all’attore principale di quegli eventi: Benito Mussolini.
1922: la mia marcia
Che cosa volevano davvero le camicie nere? Per che cosa combattevano? Quali erano i loro sogni e le loro aspirazioni? Qual era il contesto in cui agirono? 1922: la mia marcia. Scritti e discorsi della Rivoluzione fascista (pp. 186, € 15) offre una risposta a queste domande. Una risposta parziale, certo, faziosa se si vuole. Ma non meno parziali e faziose sono le interpretazioni degli avversari del fascismo. I quali, da quel 28 ottobre 1922 carico di destino, hanno alacremente lavorato a costruire una contro-mitologia con il chiaro scopo di assolvere sé stessi e di condannare senz’appello il nemico giurato.
Un libro fondamentale
Dagli scritti e dai discorsi di Mussolini pubblicati nel 1922 emerge chiaramente il progetto politico dei fascisti, oramai trionfanti su quel Partito socialista che – lo aveva addirittura messo nero su bianco nel suo statuto del 1919 – aveva tentato in Italia di instaurare con la violenza una dittatura del proletariato. Se il fascismo, da minoranza, si fece moltitudine, lo si deve a innumerevoli fattori. La vittoria delle camicie nere, infatti, non arrivò per caso. E questa antologia di testi lo spiega molto bene. O comunque molto meglio di tante letture ideologizzate oggi dominanti, che non rendono un buon servizio né alla storia, né tantomeno alla memoria del popolo italiano.