Roma, 12 ago – «Vogliamo renderla più sexy», sono state le prime e non convenzionali parole, rispetto allo stile compassato e distante cui ci aveva abituato, dell’amministratore delegato di Etihad, James Hogan. Un programma e allo stesso tempo un auspicio e una sfida per la fu compagnia di bandiera che, dalla privatizzazione e contestuale difesa dell’italianità in mano ai sedicenti capitani coraggiosi, non ha fatto altro che accumulare perdite su perdite, ad un ritmo addirittura maggiore rispetto alla tanto deplorata gestione pubblica.
Quali sono ora le prospettive per la nuova società che deriverà dal generoso versamento di più di mezzo miliardo in capo agli emiratini?
Anzitutto, la ritrovata presenza pubblica. Poste Italiane erano già intervenute nell’aumento di capitale nell’autunno dello scorso anno, su mandato di Letta e Saccomanni. Non era detto partecipassero alla nuova iniezione di risorse fresche. I nodi sono stati sciolti all’ultimo, con l’istituzione di una corsia preferenziale: Poste ricapitalizzerà per circa 80 milioni di sua spettanza, ma non nella vecchia Cai dove saranno presenti gli altri attuali soci, bensì nella nuova compagnia -la cosiddetta “mid-co”- nella quale azionisti saranno, oltre ad Etihad, anche la stessa Cai. Un modo elegante per non farsi carico delle pendenze del passato, dato che l’ingresso di Poste è recentissimo e nulla ha a che vedere con i debiti accumulati nel tempo.
In secondo luogo, le infrastrutture. James Hogan non ha interloquito solo con il suo omologo in Alitalia, Gabriele Del Torchio. Colloqui si sono infatti tenuti anche con il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi. La promessa strappata è quella di collegare l’alta velocità ferroviaria agli scali di Malpensa e Fiumicino. Entrambi distanti dalle città di riferimento, con connessioni intermodali ancora non del tutto sviluppate come già avviene nelle grandi città europee. La domanda sorge spontanea: serviva Etihad per avviare questi progetti che dovrebbero invece essere nell’ordine normale delle cose?
In terzo e ultimo luogo, gli investimenti. Il piano industriale, in sintesi, prevede il ritorno alla redditività entro il 2017. Un obiettivo ambizioso che fa leva sul ritorno nel mercato delle rotte intercontinentali, colpevolmente trascurato in favore di una improbabile ed assurda competizione sul breve e medio raggio con i vettori aerei a basso costo. Il problema principale sta nel dotarsi dei mezzi necessari: se davvero si vogliono aprire nuove tratte con San Francisco, Città del Messimo, Santiago del Chile e, in oriente, con Pechino, Shanghai e Seul, la nuova Alitalia dovrà acquistare gli aeromobili adatti. Stiamo parlando di velivoli il cui costo si colloca a non meno di 300-400 milioni di euro al pezzo. Significa che, con le risorse attuali, il massimo consentito sarebbe l’acquisto di 1-2 unità. Le opzioni sul tavolo sono ovviamente l’acquisto a debito o il leasing, ma in questo caso con il rischio di appesantire i bilanci di costi fissi.
L’alternativa si chiama code sharing, l’accordo per il quale un volo è esercitato da una compagnia per conto di un’altra. La compagnia sarebbe ovviamente Etihad, che con l’ultima infornata di ordini per più di 100 aerei a lungo raggio, oltre a quelli già ordinati e quelli già in servizio, non avrebbe alcun problema a soddisfare la domanda aggiuntiva. Fiumicino e Malpensa dovrebbero, nelle intenzioni, diventare due hub intercontinentali. Lo stesso vale per Venezia, dal quale partiranno nuovi voli da e per Abu Dhabi che, fino a prova contraria, in un altro continente formalmente si trova. Il dubbio sorge spontaneo: stante la quota che farà capo a Etihad (non più del 49%, maggioranza non assoluta ma, visto il frazionamento societario, relativa e “di peso”) Alitalia resterà una compagnia autonoma o, più verosimilmente, verrà trasformata nel vettore di collegamento con il golfo? In questo secondo caso, più che di hub intercontinentali, compagnie sexy, opportunità e rientro nel novero prime compagnie mondiali, per Alitalia il futuro si prospetterebbe al massimo come servizio di bus navetta per convogliare passeggeri nel golfo al servizio della compagnia emiratina.
Filippo Burla
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