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Parola d’ordine: salvaguardare il comparto industriale nazionale

by Cesare Garandana
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finmeccanica2Roma, 12 mar. – Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti, e lo abbiamo ripetuto più volte sulle pagine di questo quotidiano: la vera sfida, quella che l’Italia non può proprio perdere, e’ la difesa degli asset strategici per il sistema Paese. Difendere la presenza di elementi nazionali, siano essi pubblici e privati, non è poi cosi strano: Olanda, Francia e soprattutto la Germania ce lo insegnano bene. Ma l’Italia pare evidentemente mancare di questo patriottismo e soprattutto di buon senso.

Ad esempio, il segretario ligure della Uilm Antonio Apa, in una lettera al presidente del Consiglio, Matteo Renzi, bocciando categoricamente la riorganizzazione decisa dal c.d.a. di Finmeccanica, ha invocato “un sussulto di patriottismo” per impedire che il comparto trasporti della Holding finisca in mano agli stranieri definendolo, a ragione, “un vero disastro che nulla ha a che fare con un serio disegno di politica industriale”.

Secondo Apa infatti “e’ arrivato il momento che il presidente del Consiglio invece di considerare il Pignone la madre di tutte le privatizzazioni  (Renzi dovrebbe sapere che lo stesso ha portato valore aggiunto e tecnologia a General Electric e non viceversa), intervenisse seriamente a bloccare la svendita del patrimonio industriale tecnologico.”

Apa sottolinea che anche in questo caso, come già descritto da “Il Primato Nazionale”, non mancano le valide proposte come la “creazione di una Holding dedicata al trasporto affidata a Fintecna e composta da Ansaldo STS e la Ansaldo Breda ( depurate dai debiti attraverso la costituzione di una newco ) e successivamente allargata a Fincantieri”.

Anche nel mondo dei sindacati, finalmente, inizia a prender piede il concetto per cui il colpevole della situazione attuale non vada ricercato fra i “padroni”, seguendo un’obsoleta e deleteria concezione classista del mondo del lavoro, ma nell’assenza di una politica industriale nazionale degna di questo nome e soprattutto nell’assenza di quel “patriottismo” che consenta il perseguimento degli interessi nazionali.

In fondo, conclude giustamente Apa, “è evidente che chi non fa niente per impedire che ciò accada, ne è complice”.

Cesare Dragandana

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