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Conte a Doha: “Ben vengano investimenti”. Ma dal Qatar soldi alle moschee più ambigue

by Eugenio Palazzini
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Roma, 3 apr – Non si tratta soltanto di agevolare e di conseguenza aumentare gli investimenti delle aziende italiane in Qatar, secondo il premier Giuseppe Conte “anche anche l’emiro è interessato agli investimenti in Italia e ciò ci fa piacere, ben vengano gli investitori stranieri”. In visita ufficiale a Doha, il primo ministro ha specificato poi che “da Eni a Snam, a Fincantieri e Leonardo, abbiamo aziende leader nel mondo sul know how tecnologico che stanno già lavorando molto proficuamente in questo Paese”.

Soltanto nel 2018, l’interscambio commerciale tra Italia e Qatar ha raggiunto i 2,6 miliardi di euro, addirittura un +23,2% rispetto al 2017. Un notevole passo in avanti che testimonia le evidenti buone relazioni tra Roma e Doha, in particolare ovviamente da un punto di vista strettamente economico. Se guardiamo al saldo commerciale, come sottolineato da Il Sole 24 ore, è negativo per l’Italia: meno 456 milioni di euro.

Al termine dell’incontro con l’Emiro Sheikh Tahim  bin Hamad Al Thani, Conte ha visitato il Museo nazionale e alla stazione metropolitana Decc di Doha, costruita da imprenditori italiani. Nel pomeriggio il programma prevede pure l”inaugurazione della sede della nuova ambasciata e l’istituzione del Comitato Qatar della Società Dante Alighieri, concludendo poi la giornata con la visita all’ipermercato Lulu Group, in cui sono in vendita prodotti italiani della Coldiretti. L’Italia è il settimo fornitore del Qatar, esporta tubi in acciaio, prodotti di lusso, strumenti e apparecchi di navigazione. E’ indubbio poi che le risorse energetiche rendano questo emirato del Golfo un importante interlocutore per le aziende italiane.

La giravolta di Salvini

Nel giugno 2017 Matteo Salvini, riferendosi all’ipotesi di costruzione di una moschea a Sesto San Giovanni, tuonò su Facebook: “Se c’è dietro un paese come il Qatar, non si apre neanche mezzo metro quadro di sottoscala”. Salvo poi cambiare compiere un incredibile giravolta a ottobre 2018, quando l’attuale vicepremier pubblicò un selfie con l’emiro di Doha e scrisse entusiasta: “In auto con il premier del Qatar! Nella mia visita di ieri ho trovato un Paese rispettoso, tollerante, che ha allontanato l’estremismo, che ha voglia di investire in Italia, che apre le porte ai nostri imprenditori e che ci darà una mano nella stabilizzazione della Libia. Sono state 24 ore spese bene e ci tornerò!”. Un improvviso colpo di fulmine insomma, che fece cambiare completamente idea a Salvini sui rapporti con il Paese del Golfo.

I finanziamenti alle moschee in Italia

Gli ambigui legami tra Qatar e terrorismo islamico non sono un segreto. Soprattutto in Siria e in Iraq i gruppi jihadisti non sono certo stati contrastati dai finanziatori dell’emirato. Ma sono soprattutto i soldi versati da Doha per la costruzione di moschee e madrase (scuole coraniche) in Italia a preoccupare. La “Qatar Charity Foundation”, ovvero la più grande organizzazione di assistenza islamica del piccolo ma ricchissimo stato del Golfo, nel 2013 investì 2,5 milioni di euro per la costruzione di 4 centri religiosi in Sicilia.

In generale sono decine i progetti “espansionistici” di tale organizzazione, soltanto non formalmente legata al governo di Doha. Nel 2014 la Qatar Charity investì 71 milioni di euro per la costruzione di moschee in tutta Europa. Lo Stato membro dell’Ue che ricevette più soldi a tale scopo fu proprio l’Italia: 22 milioni suddivisi in 45 progetti (leggasi appunto moschee e scuole islamiche).

L’Economist definì il Qatar “l’altro stato wahabita”, per certi versi ancora più radicale dell’Arabia Saudita. Una definizione probabilmente forzata e che era legata alla rottura tra i due Stati arabi, con gli Stati Uniti che giocarono un ruolo di primo piano. Ma è indubbio che Doha abbia sempre puntato a diffondere la visione rigorista del wahabismo e che i centri religiosi finanziati in tutta Europa siano terreno fertile per i predicatori jihadisti.

Eugenio Palazzini

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