Londra, 5 gen – Una guerra con grande eco mediatica, come quella che da quasi cinque anni dilania la Siria, relega naturalmente in secondo piano altri conflitti, nei quali svariati soggetti internazionali possono portare avanti le loro politiche al riparo dai riflettori dei grandi mezzi di informazione, che concentrano le loro attenzioni su Damasco, Aleppo e dintorni.
E’ il caso di una crisi politica e militare che ha già causato migliaia di morti, soprattutto civili, e che riproduce, in scala, lo stesso schema del conflitto siriano. Sostanzialmente con gli stessi attori. A inizio 2015, la minoranza sciita dello Yemen, maggioritaria nella parte occidentale del Paese, aveva quasi messo in ginocchio le fazioni fedeli al deposto presidente Hadi, costretto a rifugiarsi in Arabia Saudita, sostenuto sul campo da alcune migliaia di lealisti e, anche se in modo ondivago e sfumato, da gruppi dichiaratamente jihadisti, come AQAP (sigla che identifica Al Qaeda nella Penisola Arabica) e dalla “filiale” locale dell’ISIS.
A quel punto, facendola passare quasi come una operazione internazionale di peace-keeping, a dare supporto ai gruppi sunniti del più povero fra i paesi arabi è intervenuta direttamente proprio l’Arabia Saudita, che oltre all’intervento di terra ha iniziato una massiccia campagna di bombardamenti aerei – quella saudita risulterebbe essere la seconda aeronautica più potente del Medio Oriente (la prima, neanche a dirlo, è quella israeliana) – sulle aree occupate dalle milizie sciite degli Houthi.
Uno dei primi risultati ottenuti è stata, la scorsa estate, la riconquista di Aden, città che ora sembrerebbe nelle mani dei gruppi più integralisti, nell’acquiescenza dei militari sauditi, che restano chiusi nelle loro caserme, lasciando campo libero ad Al Qaeda e a gruppi riconducibili all’ISIS. Dietro l’operazione saudita, tuttavia, c’è l’importante supporto, diplomatico e soprattutto militare, della Gran Bretagna. Stando a quando riportano diverse ONG, le armi in dotazione all’esercito saudita provengono soprattutto da oltremanica. Queste voci, che sono state più volte riprese dalla stampa britannica e che sono state tranquillamente confermate (ma evitando di fornire eccessivi dettagli alla pubblica opinione) dallo stesso governo di Sua Maestà, che ha tenuto a sottolineare la lunga tradizione di alleanza e collaborazione con l’Arabia Saudita e soprattutto con la sua aeronautica militare, gettano un’ombra inquietante sulla politica estera attuata da Londra nel Medio Oriente.
Alle accuse di sponsorizzare direttamente la guerra, il governo di Cameron fa spallucce, dichiarandosi pronto a sospendere la vendita delle armi nel caso in cui fosse provata la violazione delle leggi di guerra da parte dei Sauditi. Evidentemente le scuole, i mercati, gli ospedali e gli stessi uffici delle ONG rasi al suolo dagli attacchi aerei, considerando che gli unici cacciabombardieri che volano nei cieli yemeniti sono quelli di Riad, non sono considerate prove sufficienti. Inoltre, come ha scritto sull’Independent Iona Craig, giornalista free lance che ha voluto visitare la linea del fronte in prima persona, alcuni di questi bombardamenti sono stati portati in due tempi, in modo da colpire deliberatamente i soccorritori della prima ondata (Fonte Indipendent). Fra l’altro, se Cameron desse seguito alla sua dichiarazione, non compirebbe un atto di buona volontà, ma si limiterebbe ad applicare una legge che il suo Parlamento ha votato, nel dicembre 2014, ratificando il Trattato ONU sulla Vendita delle Armi (Arms Trade Treaty) che vieta appunto la vendita di qualsiasi tipo di armamento verso zone in cui ci sia il rischio di violazioni delle leggi di guerra o dei diritti umani.
Ad aggravare ulteriormente la posizione di Londra, c’è il paradosso del suo strabismo politico, visto che mentre vende armi all’Arabia Saudita per un valore di almeno 4 miliardi di sterline , dall’altro ha speso, attraverso il Dipartimento (governativo) per lo Sviluppo Internazionale, almeno 400 milioni negli ultimi quindici anni per la ricostruzione dello Yemen, che ora sta contribuendo a distruggere.
Evidentemente, mantenere salda l’alleanza con l’Arabia Saudita – e i suoi pozzi petroliferi – è per Mr. Cameron una priorità assoluta, soprattutto dopo il relativo intiepidirsi delle relazioni fra Riad e Washington, a seguito dell’accordo sul nucleare iraniano. Anche a costo di sterminare migliaia di civili yemeniti. Anche a costo di avvantaggiare sul campo Al Qaeda e l’ISIS. Anche a costo di ignorare che l’Arabia Saudita è uno dei paesi più arretrati (probabilmente se la gioca con Sudan e Somalia) in tema di rispetto dei diritti umani, tanto cari all’Inghilterra. Al netto di ogni considerazione morale, la posizione di per sé potrebbe anche essere legittima. A condizione che poi il Primo Ministro eviti di rilasciare dichiarazioni in cui accusa Putin, o Assad, o chicchessia, di bombardare i civili, di colpire i bersagli sbagliati, invocando sanzioni e attribuendo patenti di macellaio che potrebbero un domani servirgli per definire i suoi amici di Riad.
Mattia Pase
1 commento
Però i padroni del mondo già pronti alle sanzioni maggiori all Iran