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Tibet, parla un esule: “I nostri profughi non riconosciuti dai vostri ex comunisti”

by La Redazione
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manifestazione proTibet a Milano

manifestazione proTibet a Milano

Milano, 10 mar – Erano un centinaio i manifestanti riunitisi a Milano per celebrare il 58esimo anniversario della rivolta di Lhasa. Tra bandiere tibetane, monaci e striscioni che invocavano chance di pace per il Tibet e la ripresa del dialogo tra la Cina comunista e il Dalai Lama, abbiamo incontrato Chodup Tsering, presidente della comunità tibetana in Italia. Chodup è un ex monaco, arrivato in Italia nel 1980 dopo essere scappato dal Tibet quando aveva 5 anni. A chi gli chiede se la manifestazione passerà sotto il consolato cinese lui sbuffa e dice che di cinesi comunisti non ne vuole nemmeno sentire parlare.

 

Ma il regime comunista cinese fa proprio così paura?
Io credo che la situazione in Tibet sia molto peggiorata. Apparentemente tutto è normale, perché con l’effetto della globalizzazione sembra che la gente viva meglio di una volta, sembra che non ci sia l’invasione. In realtà i cinesi controllano ogni aspetto della vita dei tibetani, e arrestano chiunque esprima una forma di dissenso. Ci sono infiltrati anche tra i monaci, travestiti.

Molti scappano, ma pochi arrivano in Italia.
In Italia la comunità tibetana è composta da circa 200 persone. Molti sono qui oggi. Sono pochi, rispetto alla Svizzera, dove sono circa 3000 o la Francia dove sono circa 2400. Questo perché il governo italiano non riconosce ai tibetani lo status di rifugiati politici. Con qualche eccezione, in Italia dagli anni ’70 ci sono governi di centro sinistra, figli dei vecchi comunisti e quindi amici della Cina e del regime di Pechino. I tibetani che vivono in Italia sono potuti arrivare qui perché in possesso di altri passaporti, io ad esempio sono entrato come missionario buddista, sono un ex monaco, con un passaporto nepalese. Nessun tibetano in Italia ha una vera identità propria.

Se l’Italia non fa niente di concreto, il resto del mondo occidentale cosa fa?
Finora hanno solo parlato. I capi politici hanno sempre usato frasi oserei dire prefabbricate sul rispetto per i diritti umani e per i diritti basilari del popolo tibetano. E quando lo dicono i cinesi si arrabbiano. Ma poi finisce lì. Non c’è mai stato un atto concreto di pressione sulla Cina affinché riprenda seriamente il dialogo con il governo in esilio o con Sua Santità il Dalai Lama per arrivare a una soluzione pacifica.

manifestazione proTibet a Milano

E cosa potrebbe fare l’Occidente?
Dagli anni ’90 quando il mercato commerciale è stato aperto alla Cina, e gli europei hanno spalancato le porte alla Cina, c’è stato un atto di sottomissione. Perché ormai la Cina è diventata una potenza anche commerciale. E se la Cina è così potente è grazie all’Europa e all’Occidente.

Quindi lei confida in Trump per cambiare il corso degli eventi?
Io spero, e lo sperano anche tanti tibetani, così come il Dalai Lama, che il presidente Donald Trump faccia qualcosa di concreto. Non so come, non dico che debba interrompere i rapporti commerciali, non lo farebbe nessuno, ma ci sarà pur qualche azione politica che costringa la Cina a fare qualcosa di concreto! E non solo Trump, anche l’Ue può fare lo stesso. Spero che l’Occidente sappia colpire nel segno, prima che la Cina invada l’Europa. Ho già visto un’invasione, mi preoccupo di non vederne un’altra.

In Tibet c’è anche il fenomeno delle autoimmolazioni, molti cartelli qui chiedono che cessino.
Si, ed è un fenomeno molto triste per noi tibetani della diaspora. Perché abbiamo bisogno di gente giovane che lotti per l’indipendenza, per i diritti umani, per il Tibet. Ma queste persone, monaci, suore, laici, si autoimmolano per disperazione.

Possiamo associare le autoimmolazioni ai kamikaze del mondo islamico?
No. Perché chi si autoimmola non vuole attentare alla vita degli altri. I kamikaze e i terroristi non solo muoiono loro ma uccidono anche gli altri. Invece chi si autoimmola in Tibet non vuole uccidere i cinesi o le loro strutture pubbliche ma solo se stesso perché non ce la fa più. E quando sta morendo l’ultimo messaggio che grida è “libertà e diritti umani per il Tibet” e invoca il ritorno del Dalai Lama in patria. 

Ci consiglia un libro per capire il dramma del popolo tibetano?
Così, sui due pedi vi dico tutti i libri di Sua Santità il Dalai Lama. Oppure Tibet, il fuoco sotto la cenere di Palden Gyatso.

 

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2 comments

Pino Rossi 11 Marzo 2017 - 11:41

I cinesi sono una piaga. Il Tibet in quanto ex stato sovrano, ma tutte le regioni della Cina periferica sono invase da funzionari di etnia han che gestiscono il potere, distruggendo e inquinando le culture tradizionali locali. Un libro stupendo che racconta lo scontro tra il mentalismo predatorio cinese e la cultura tradizionale dei nomadi mongoli è “il totem del lupo”. Consigliatissimo. Diffidare invece del Dalai Lama arcobaleno, amco della Cia e degli lgbt.

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Anonimo 14 Marzo 2017 - 4:08

questo povero esule Chodup Tsering,

si meraviglia che l’Italia non riconosce ai tibetani lo status di rifugiati politici,

perche evidentemente non conosce la Storia italiana,

e non sa in che modo,
proprio quei “comunisti” che menziona,
accolsero non molti anni fa,
altri esuli, colpevoli di abbandoranre un “paradiso” comunista…

con una aggravante, loro erano fratelli,
tu caro Chodup Tsering sei uno straniero.

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