Lisbona, 21 dic – La Corte Costituzionale del Portogallo ha deciso di bocciare la decisione del governo di tagliare le pensioni del settore pubblico superiori a 600 euro al mese del 10 per cento, portandole allo stesso livello di quelle private: con questa decisione, presa all’unanimità dai giudici costituzionali, il governo guidato dal premier Pedro Passos Coelho si ritrova con un buco da ben 388 milioni di euro, creando non pochi problemi ai tentativi dell’esecutivo di venire incontro alle richieste della Troika nell’ambito del piano di salvataggio da 78 miliardi di euro.
Secondo la Corte Costituzionale la misura infrange la legge fondamentale portoghese poiché fa venire meno la fiducia dei lavoratori di ricevere un certo livello di assegni pensionistici corrispondenti ai contributi versati: in altre parole la decisione del governo finisce per deludere le aspettative dei lavoratori circa le proprie pensioni, poiché cambia le regole del gioco a partita in corso e questo non è ritenuto accettabile.
Con la decisione dei 13 giudici costituzionali il governo si ritrova un ammanco di oltre il 12 per cento del proprio budget fiscale per il 2014: per questa ragione sarà necessario intervenire in altro modo, tagliando ulteriormente le spese o trovando nuovi spazi per aumentare le tasse. Il settore pensionistico, però, è l’unico rimasto sinora quasi intoccato e per questo il governo tenterà, ancora una volta, di trovare un escamotage per intervenire in questo campo piuttosto che chiedere ulteriori sacrifici a chi ha già dato molto.
Il programma di salvataggio dovrebbe terminare il prossimo giugno e per allora il Portogallo dovrà tornare a camminare sulle proprie gambe, ovvero dovrà riguadagnare pieno accesso al mercato e rifinanziare autonomamente i propri deficit e debito pubblico. La decisione della Corte Costituzionale, però, come già sottolineato dalla Troika formata dall’Unione Europea, dal Fondo monetario internazionale e dalla Banca centrale europea, potrebbe rendere difficile se non impossibile il raggiungimento di un tale traguardo, e richiedere una forma di supporto aggiuntiva fino alla fine dell’anno.
Il problema è che le alternative che il governo ha davanti, ovvero austerità in settori già abbondantemente colpiti negli ultimi anni, rischia di porre nuove ipoteche sulla crescita economica lusitana, mentre il ritorno del Portogallo sui mercati è previsto dalla metà del 2014, quando in teoria il paese dovrebbe essere pronto per rifinanziarsi tra gli investitori privati, dopo il bail-out di due anni fa.
Con il Portogallo in questa situazione macroeconomica non possiamo esimerci da una conclusiva chiosa. Ciò che si evince è che pur cambiando il soggetto o latitudine, non cambia la ricetta economica “suggerita”, ma soprattutto non cambia la metodologia di eviscerazione della sovranità degli stati nazionali europei in favore di organismi finanziari e tecnocratici apolidi e spietati.
Giuseppe Maneggio