In questo contesto si può trovare la chiave di lettura delle azioni militari francesi in nord Africa con l’avallo della Nato, partendo dalle forti pressioni sulla comunità internazionale per accelerare l’intervento prima in Libia e poi in Mali. Usa e Francia, infatti, non hanno visto di buon occhio l’accordo siglato nel 2009 tra la Malibya Agricolture e il governo maliano, riguardante l’affitto di 100mila ettari di terreno per 50 anni, con un’opzione a rinnovare l’accordo fino a 99. I terreni in questione avrebbero garantito ai libici rifornimenti di riso sufficienti a sfamare l’intera popolazione, grazie anche all’intesa tra Gheddafi e la Cina, impegnata nella realizzazione di un canale che permette di deviare parte delle acque del Niger per irrigare le risaie.
Il rovesciamento di Gheddafi, seguito a un anno di distanza dall’intervento in Mali accolto con soddisfazione dalla giunta militare del presidente ad interim Dioncounda Traorè, non ha annullato l’accordo con la Malibya, ma di fatto ha estromesso la Cina, e in parte la stessa Libia, dall’utilizzo dei terreni, a favore di una gestione “commissariata” dai transalpini. Il nuovo assetto, pur non producendo vantaggi effettivi per la popolazione locale, non è minacciato dalla maggioranza sub sahariana che abita il fertile sud est, ma è fortemente inviso alle tribù berbere in lotta per l’indipendenza. Un conflitto che, attraverso il filtro dell’informazione mainstream, viene presentato in occidente come l’ennesimo intervento di liberazione contro lo spettro del fondamentalismo islamico.
Francesco Pezzuto